mercoledì 28 maggio 2008

Sulle tracce del Tren a las nubes

Allora, un bel flashback indietro di tre settimane ed eccoci di nuovo a Salta. Ci arrivo un sabato pomeriggio e nelle vie del centro c'è il delirio, sono piene di gente che va in giro a fare compere...
Trovo un'agenzia aperta e prenoto un'escursione per il giorno dopo, che è domenica e non vorrei ritrovarmi a piedi.
Chiedo se c'è un posto per comprare un paio di scarpe e il tipo dell'agenzia sorride divertito, e mi dà tre o quattro indirizzi. Capisco perché della risata a stento trattenuta subito dopo: ci sono due o tre strade che sono letteralmente un unico negozio di scarpe, decine e decine unodietrolaltro, senza soluzione di continuità. Un incubo, per me che mi annoio dopo 5 minuti quando devo comprare qualcosa di abbigliamento, e poi tutta quell'offerta ti stordisce.
Non volevo comprare un altro paio di scarpe da trekking, e visto che non ho più scarpe da ginnastica provo a trovare un compromesso onorevole. Anzi ne approfitto per ringraziare le due amiche svizzere che a suo tempo mi avevano consigliato la marca giusta: si è rivelato un consiglio più che azzeccato, mi sono trovato benissimo nonostante fossero nuove e non rodate e nonostante tutte le mie difficoltà con le scarpe...
Insomma, ero pronto per nuove incredibili avventure.
L'attesa per Salta era molto alta, era l'unica destinazione oltre alla capitale che non volevo mancare. Buona parte del fascino, oltre alle fotografie che mi ha fatto vedere Roberto L., era dovuto alla voglia di salire sul mitico “tren a las nubes”.
E' un treno che percorre quasi 220 chilometri passando da 1200 metri a 4200 (che lo rende il terzo treno più alto del mondo), ma senza essere un treno a cremagliera, con strani zigzag, attraversando 29 ponti, 21 tunnel e 13 viadotti. Il paesaggio è quello incredibile della Quebrada del Toro, fino a salire e salire ed entrare in piena Puna.
L'attrazione verso questo viaggio era fortissima, un po' potete capirla guardando le foto del sito. Anche perché da due o tre anni il treno non è in funzione, e informandomi prima di partire dall'Italia sembrava che dovesse essere di nuovo inaugurato proprio ad aprile... Fortunatissima coincidenza, ho pensato io.
Invece no, perché i lavori per ripristinare il percorso sono in ritardo e sembra che non riaprirà prima dell'estate (la nostra).
Allora, per consolarmi della cocente delusione, ho preso una escursione di due giorni che in parte ripercorre lo stesso tragitto del famoso treno.
Si parte all'alba da Salta e si comincia lentamente a salire. Presto si entra nella Quebrada del Toro, che all'inizio è caratterizzata da una ricca vegetazione, da sperdute case degli indios, che terrazzano il terreno dove non sarebbe neppure pensabile farlo, e dai binari del treno che seguono normalmente l'altro costone della montagna. Un paio di volte ci fanno scendere per attraversare i ponti di ferro sulla Quebrada, dicendo, scherzando, che il pullmino non ce la fa con tutti sopra... In realtà le fermate iniziali servono più che altro per abituare i polmoni alla salita. Ci fermiamo anche nei pressi di un ponte del tren a las nubes, che ci lasciano percorrere, se vogliamo, a piedi. Fa piuttosto impressione perché non ha nessuna protezione laterale, e sotto le traversine vedi un bel salto nella Quebrada...
In realtà è ancora presto, il sole non è ancora entrato nella Quebrada e noi siamo ancora assonnati. Ci offrono caffé e alfahores e ripartiamo.
La guida è Martin, la migliore che ho trovato nelle settimane saltegne, e nel gruppo dell'escursione si crea subito un sottogruppo di “jovines” di quattro persone, io, la coppia di olandesi con cui poi ho continuato affittando la macchina e una ragazza di Buenos Aires, Ana Maria. Ana Maria e Arien lavorano entrami all'aeroporto (naturalmente Ana Maria a Buenos Aires e Arien ad Amesterdam) però Arien è anche un fotografo (ha una signora macchina con ben tre obiettivoni), e lavora per riviste di skateboard fotografando gli skaters.
Manon invece fa un lavoro bellissimo: lavora per una organizzazione governativa olandese che, raccogliendo fondi dalla lotteria e da privati, si occupa di aiutare progetti (soprattutto tipo microcredito ma non solo) nei paesi in via di sviluppo. Molto spesso, diciamo 3-4 volte l'anno, la mandano in missione più che altro per stabilire dei contatti personali con le comunità locali, e così lei gira il mondo quasi sempre in posti incredibili, e per di più lo fa anche per una nobile causa (mi ha spiegato nei dettagli alcuni dei progetti finanziati e sembra davvero che funzionino).
Comunque, saliamo e la vegetazione comincia a farsi più rada, cominciano ad apparire i cardones, si diradano anche i piccolissimi insediamenti degli indios (tranne le scuole che sputano sempre fuori nei luoghi più assurdi), le montagne, private dal verde delle piante, scoprono il loro manto multicolore. Saliamo e saliamo, ammirando di tanto in tanto le acrobazie dei binari del treno (non usare la cremagliera lo costringe a evoluzioni notevoli per superare i dislivelli più difficili).
Martin ci consiglia di dare fondo alle nostre scorte di foglie di coca, e ci spiega tutte le loro virtù. Arriviamo infine a Santa Rosa de Tastil, il “paese” più grande prima del passo. Ci fermiamo per sgranchirci le gambe, c'è poco più di una chiesetta, una scuola, qualche negozio per turista e pochissime case. C'è anche un minuscolo museo che racconta le usanze degli indios che prima abitavano numerosi l'insediamento. Un poco più in alto una piccola deviazione su una strada incredibilmente pericolosa ci porta alle rovine di Tastil, uno degli insediamenti più importanti dell'era pre-incaica. Le rovine sono molto grandi, anche se faticose da esplorare perché tutte arroccate, e a queste altitudini (siamo quasi a 4000 metri) inerpicarsi è faticoso. Sembra comunque che ci fossero circa 3000 persone che abitavano questo che era un centro importante perché in posizione strategica per l'attraversamento delle Ande.
Torniamo sulla nostra strada e continuiamo a salire, fino a raggiungere il nostro agognato passo, laddove la quebrada si stringe sempre più attorno a noi. Dall'altra parte, eccola, la Puna. Il tempo di scendere un po', dopo il passo, e ci troviamo in questo incredibile altipiano.
Ci fermiamo subito, però, nel paese di San Antonio los Cobres, che è vicino al punto di arrivo del tren a las nubes (in realtà è poco più in là, è il viadotto della Polverilla, il più spettacolare, a 4200 metri).
San Antonio è lì, polveroso e al centro del mare di Puna.
Ci sono persino delle case popolari ordinatissime e nuove di zecca. Edilizia popolare in altura. Andiamo a mangiare e provo persino a bere il tè fatto con le foglie di coca, che in realtà sembra una tisana...

Non c'è tantissimo da vedere, San Antonio è più che altro una ottima base per esplorare la Puna o le Ande. Però fanno salire due bambini appena usciti da scuola che ci racconta un po' il paese e poi ci recitano poesie, deliziosi.
Ripartiamo e ci addentriamo dentro la Puna su una strada di terra rossa, non ci sono indicazioni e sarebbe facilissimo perdersi, ad andarci da soli...
Ci sono vigogne che ci attraversano le strada, contadini o pastori che improvvisamente spuntano, in mezzo al nulla, vicino a nulla, che ti chiedi che stiano facendo, lì... Le poche casette sperdute sono quasi mimetizzate, sembra di stare in un deserto (e in effetti la Puna lo è) ma abitato, con piante, animali e qualche uomo, di tanto in tanto.
Poi, da lontano, una macchia di luce bianca, sembra un riflesso ma si fa sempre più grande e abbagliante: la Salinas Grandes. Al centro della Puna, alla congiunzione tra due mitiche strade, la ruta 40 e il cosiddetto “corridoio bioceanico”, una strada che unisce i due oceani passando le Ande in uno dei pochissimi posti (l'altro credo sia a Mendoza) dove è possibile farlo tutto l'anno, anche in inverno. Tutti mi hanno detto che tra l'altro la strada che porta al Cile da qui è bellissima, dopo il Paso de Jama ci vogliono ancora quasi 300 chilometri per incontrare il primo paese cileno...
Con il furgone entriamo nella salina e ci fermiamo proprio in mezzo. Il bianco è abbagliante, il sole è fortissimo e raddoppia la sua intensità sul sale.
I locali, tra cui alcuni artigiani che vendono oggetti ai turisti, sono completamente coperti, compreso uno specie di passamontagna e occhiali da sole, che fanno tanto terroristi più che commercianti. Questo perché le condizioni di lavoro (o di vita) sulla salina sono incredibilmente dure, in pochi anni il vento che porta il sale provoca il cancro alla pelle, e ci vuole ancora meno per diventare ciechi, bastano pochi mesi.
Assurdo come una cosa così bella, un deserto di sale, possa essere così crudele. In effetti è difficile tenere gli occhi aperti, è difficilissimo scattare foto, con il sole che non ti fa vedere niente di quello che stai inquadrando...
Il sale poi forma a terra dei disegni geometrici, e la sensazione fortissima, tra le Ande sullo sfondo, la Puna tutt'attorno e tutto quel bianco a perdita d'occhio, è quella di stare all'interno di un paesaggio non terrestre, ma di qualche altro pianeta.

C'è anche una panchina, lì, in mezzo alla salina. Surreale.
Al ritorno purtroppo mi sono perso tutto il paesaggio del passo, a parte un paio di fermate, perché alla salina abbiamo caricato 4 persone di un altro furgone che si era rotto, e ovviamente a cedere i posti a sedere è toccato a me e Arian...
Peccato perché il paesaggio sembrava incredibile, con questa strada che si arrotolava a valle, dopo il passo...
Arriviamo nel paese di Purmamarca, dove noi ragazzi ci fermiamo a dormire, mentre gli altri proseguono e tornano a Salta.
Ma di Purmamarca vi parlerò un'altra volta.



 










4 commenti:

  1. Se non avessi scritto che trattasi di panchina, avresti potuto sostenere che fosse un menhir.

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  2. ....ti ho letto ogni giorno, sono stata con te in ogni luogo fisico in cui hai camminato, ho annusato l'aria che hai respirato e ho completato con la mia fantasia ciò che le tue parole mi hanno suggerito....è stato bellissimo!
    Grazie. ti aspetto per il più forte degli abbracci!!!!

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  3. ma quando torni?
    Non dovevi essere già rientrato in siti più urbanizzati?
    ma quelle foto... sono truccate?!

    Ps ma che palle queste verifiche di parola... il più delle volte non capisco le lettere? ma perché min... le fanno? per verificare il livello di intelligenzadei blogghisti...

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  4. Le verifiche di parola servono a evitare i programmini automatizzati che mandano spam sui blog... i computer sembra che non siano ancora capaci di riconoscere quelle lettere. Ma gli umani sì, vero? O dobbiamo forse farti il test Voigt Kampff, per capire se non sei per caso un replicante?
    Per quanto riguarda le foto no, i miei scarsi mezzi informatici qui mi permettono al massimo di girare le foto verticali, quindi figurati, altro che photoshop...
    E sì, sono a Buenos Aires, ma ho ancora tanti di quegli arretrati che mi sono permesso un flashback...

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