sabato 17 maggio 2008

Avventura nella Puna

Con grande rispetto del mio modo di raccontare assolutamente acronologico, salto a pie' pari tutti gli ultimi dieci giorni e vi racconto di quello che è successo due giorni fa.
Dopo mille indecisioni sull'opportunità di affittare una macchina o meno (le due ragazze argentine - di cui vi devo ancora raccontare - erano disposte a dividere la spesa, ma erano già nella Quebrada di Humahuaca), alla fine ho preso un autobus da Salta per Abra Pampa, quasi al confine con la Bolivia. Il viaggio è stato incredibile, perché passare per la Quebrada di notte, con una luna a metà che suggeriva il paesaggio senza farlo vedere davvero, lasciava quasi tutto all'immaginazione. Poi lentamente si sale, fino ad arrivare sulla Puna, di nuovo, ma stavolta senza vederla. Disseppellisco l'ipod per l'occasione, e il random play mi regala una dietro l'altra delle canzoni assolutamente in tema. Allora provo a fare quello che avevo in mente da prima di partire, cioè spararmi Bjork, e in particolare Post, nei paesaggi lunari (è il caso di dirlo, di notte) della Puna. Il connubio è perfetto, Bjork si sarebbe senz'altro trovata bene, qui. “Emotional landscapes / they puzzled me / confused". Me la immagino come nel video di “Army of me” (se non ve lo ricordate, eccolo) con quel camion che qui ci starebbe tanto bene!
Arrivo ad Abra Pampa che è molto tardi, e sono anche un po' preoccupato di trovare tutto chiuso alle 11 di sera. Invece in questo piccolo paese sperduto nella Puna, incredibilmente ci sono ancora i negozi aperti (anche se “negozi” forse non è il termine esatto) e gente per strada. Mi fermo comunque nel primo posto che trovo, un affittacamere/ristorante/locutorio molto spartano e soprattutto senza riscaldamento (siamo pur sempre a 3500 metri). Ma la stanchezza per il viaggio molto lungo e il freddo sono ripagati appena esco a fare due passi, dopo cena: nel cielo della Puna non ci sono stelle, ma fari, fuochi fatui, messaggi di luce da altri pianeti. La luna stessa, pur se a metà, è come ingrandita, luminosa quanto un sole, quasi abbaglia. E le costellazioni sono tutte lì, mai così visibili. Ricordo qualcosa di simile solo in una notte di San Lorenzo su un campo da golf, nella campagna Irlandese, o sul campo base del Gran Sasso. Ma qui, sarà che siamo più in alto, sarà che l'inquinamento (di tutti i tipi, compreso quello luminoso) non si sa neppure cosa sia, tutto è così definito che, se non facesse così freddo, ti farebbe venire voglia di stare lì a guardare, e aspettare l'alba. Cosa deve essere, l'alba sulla Puna? Ma bisogna attrezzarsi un po', per combattere temperature che di notte diventano polari. Bisogna conquistarsela, come e di più di tutte le altre albe. Nella mia collezione di9 albe, l'alba sulla Puna dovrà aspettare ancora un po'.
La mattina dopo una notte fredda come poche altre, esco e mi ritrovo nella Puna che non avevo visto arrivando.
Abra Pampa è una polverosa città tutta color sabbia. Lo shock culturale che non si ha mai in Argentina, il più europeo dei paesi sudamericani, lo si ha qui, dove tutti sono indios. Arrivo al Terminal con un certo anticipo rispetto all'orario dell'autobus che, secondo l'ufficio del turismo, doveva partire per andare alla Laguna de los pozuelos, aspettare che tutti i turisti fossero tornati dai loro giri e tornare indietro. Naturalmente di questo autobus non c'è traccia, e scopro invece che per una volta aveva ragione la Lonely Planet: bisogna prendere un colectivo di linea che lascia davanti al Guardiaparco, da dove bisogna arrivare a piedi alla laguna (e sono almeno 8 chilometri di passeggiata... Scopro che c'è anche un altro turista nella città, una ragazza francese che mi dice che quello che sta prendendo lei è l'unico autobus che parte questa mattina. Lo prendo al volo, ma così facendo non ho fatto né colazione né scorta di acqua. La ragazza francese, che si chiama Natacha e si è presa un sei mesi di tempo dopo essersi licenziata (è già stata un mese in Messico e uno in Argentina), mi dice che anche lei aveva una mezza idea di andare alla laguna, ma che poi il padrone del posto dove ha dormito le ha consigliato di arrivare fino al capolinea di questo autobus e tornare indietro, se la sua idea era di vedere un po' di Puna senza troppi sforzi.
Scopro che anche a lei interesserebbe l'escursione che sto aspettando da una settimana, e ci scambiamo le mail per vederci a Salta ed eventualmente partire insieme. E' un po' preoccupata che io vada da solo alla laguna senza acqua, e in effetti quello che voglio fare è un po' incosciente.

Scendo, sono in piena Puna, attorno a me non c'è assolutamente nulla tranne la casa del guardiaparco. Vado, c'è una ragazza con il cappellone da cow-boy, mi spiega come arrivare e a che ora c'è l'autobus che riporta ad Abra Pampa. Le chiedo speranzoso se ci sono altri turisti (spero in un passaggio al ritorno) ma mi dice che sono l'unico, oggi, è che in genere è così, uno o due al giorno.
Mi faccio prestare una pesantissima bottiglia da due litri d'acqua e mi incammino, non prima di aver fotografato la mappa del posto, non si sa mai dovesse tornare utile. Il sole si fa sentire, a 3600 metri. Anche perché non c'è traccia di nuvole. La laguna non si vede, e non è facile camminare sotto il sole a questa altezza, ogni passo è tre volte più faticoso, ma ho troppa voglia di arrivare. Il silenzio è assoluto, rotto solo dagli uccelli che ogni tanto si alzano dai cespugli.
Tutto attorno a me, bellissime vigogne in piccoli gruppi. C'è n'è sempre una che si fa avvicinare un po' di più, forse il maschio, mentre gli altri rimangono un po' più a distanza. Provo ad avvicinarmi quatto quatto, ma riesco ad arrivare al massimo ad una ventina di metri, poi giustamente queste vigogne selvatiche diffidano dell'essere umano (essendo in via d'estinzione grazie a lui). Però si allontanano solo di un po' e poi tornano a guardarmi, forse curiose anche loro della visita. Avanzo stoico anche se non si vede un punto di arrivo, con occasionali (e stupide, perché aumentano la distanza) deviazioni per avvicinarmi alle vigogne. Sul mio cammino c'è una casa, con una signora fuori che fa le faccende, e carne e pelli appese al sole, al posto dei panni da asciugare.
La strada polverosa ha solo tracce di gomme di un auto, di animali (probabilmente vigogne) e nessuna traccia di piede umano (o scarpa che dir si voglia).
Continuo dritto, la vegetazione si fa un po' più verde e gli uccelli aumentano. Quando sto cominciando a perdere le speranze di arrivare, all'orizzonte vedo qualcosa, alla fine della strada. Non si capisce bene cosa sia, ma almeno è qualcosa. Vado avanti con rinnovato ottimismo, mangiando i biscotti al cioccolato che per fortuna avevo comprato per il viaggio del giorno prima e non avevo mangiato. Mi aspetto qualcosa, una specie di centro per il visitatore, non so, anche solo una capanna. Invece quello che vedevo in lontananza sono cartelli: dicono che sei quasi arrivato, che finisce la “strada” e che da lì c'è ancora un chilometro circa per la laguna vera e propria.
Il mio sorriso si allarga, vado oltre e in effetti si comincia a vedere l'acqua, i riflessi del sole, tanti animali su quella specie di spiaggia, e, davanti a me, gli uccelli. Il sole purtroppo è di fronte e quindi non si riesce a vedere bene il rosa dei tucani, ma la sensazione di essere arrivato, alla fine, e di avere la laguna (15000 ettari!) tutta per me è davvero elettrizzante.
Non sono mai stato un bird-watcher, anche se ho cominciato a capirne le motivazioni un paio di anni fa, leggendo il bellissimo racconto di Jonathan Franzem, "Il mio problema ornitologico", uscito su internazionale di inizio anno 2006 (tra l'altro tradotto dalla mia bravissima amica Silvia!).

Mi avvicino, cercando di non farmi troppo notare. Un po' difficile, essendo l'unico essere vivente che si muove su due zampe nel raggio di chilometri. Il terreno sotto i miei piedi cambia tre volte mentre mi avvicino: dalla terra cotta dal sole verso un terreno sempre più fangoso. Quando comincio a notare che le scarpe cominciano a rimanere ancorate nella terra quasi paludosa e quasi ne perdo una, faccio saggiamente qualche passo indietro. Nel frattempo gli uccelli si sono accorti di me e si alzano tutti in volo per spostarsi 500 metri più a destra. Vederli alzarsi in volo mi fa sentire dentro un documentario del National Geographics.
Peccato che non abbia gli stessi strumenti per avvicinarmi inosservato... E soprattutto, peccato che mi manchi qualcosa di meglio della mia scarsissima macchinetta fotografica: mai come ora nella mia vita ho desiderato un pesantissimo e ingombrante zoom e una macchina seria (o la presenza delle due o tre persone dotate adatte alla bisogna!) Ma tant'è. Capisco però perché questo posto non si chiama Parco tal dei tali, ma Monumento Natural Laguna de los Pozuelos. Perché in effetti la visione di tanti uccelli che se ne stanno lì placidi (e non è neanche loa stagione giusta) è impressionante.
Tento di avvicinarmi di nuovo, ma scopro nel frattempo che la laguna è viva. Non tanto perché ci sono uccelli dappertutto, a perdita d'occhio. Perché ha dei sistemi di allarme incorporato: quando cammini sulla, chiamiamola così, “spiaggia”, la terra sotto di te fa rumore. E' proprio la terra, perché quando mi fermo per fare una foto, non c'è più. Sarà che nel silenzio (a parte gli uccelli) l'udito si affina, o sarà la Pachamama, il dio indio per eccellenza, la MadreTerra?
Dopo un'oretta di inseguimento dei Tucani, lo scopro a mie spese: la terra paludosa è ricoperta di insetti vari, che al mio camminare si alzano in volo e fanno un rumore (davvero, è un rumore forte, mai avrei detto che potesse essere il rumore di tanti insetti piccoli che sbattono le ali...), ma alla fine, stanchi del mio incurante passeggiare, mi attaccano in sciami.
Ovviamente io, che ho affrontato la traversata della Puna con 400 cl di acqua (a parte il provvidenziale prestito della guardiaparco che però non volevo usare se non per bagnarmi, visto che fino ad adesso ho miracolosamente evitato la mia malattia di viaggio preferita, la maledizione di Montezuma), un po' di biscotti e qualche galletta, senza uno straccio di cappello né di crema protettiva, senza binocolo, non avevo portato nemmeno qualcosa contro gli insetti, perché stupidamente non ci ho pensato, alla presenza degli insetti nella laguna...
Mi allontano con difficoltà dallo sciame di insetti incattiviti, e provo ad avvicinarmi al gruppo di animali “spiaggiati”. Da lontano ce ne sono alcuni che sembrano orsi bruni, ma naturalmente non può essere e mi avvicino per controllare. Infatti sono guanachi, buffi cugini delle elegantissime vigogne e dei più simpatici lama. Mi avvicino ad uno che mi guarda stupito per un pezzo prima di allontanarsi. Poi guardo l'ora e capisco che è ora di tornare, se voglio prendere l'ultimo colectivo.
Il ritorno naturalmente è più faticoso, non avendo più l'obiettivo della laguna (ma diciamo che l'obiettivo di prendere l'ultimo colectivo non era poi così roba da poco). Mi stupisco nel ritrovare le mie stesse orme, quasi a confermarmi che, almeno per oggi, almeno per un giorno, la laguna è roba mia.
La fatica aumenta esponenzialmente, anche perché in effetti non mi sono mai fermato (forse meglio così, chi si ferma è perduto) e ormai i chilometri percorsi sono tanti. Mi viene a salutare l'unico lama della zona, che si avvicina lui incuriosito e poi si mette addirittura in posa quando gli scatto la foto, scegliendo il suo profilo evidentemente migliore...
Comincio a dubitare delle mie forze residue quando vedo in lontananza la casa del guardiaparco e mi rinfranco. Vedo però anche due autobus che passano e spero che non siano il mio. E' incredibile come nella Puna si riesca a vedere tutto a grandissima distanza, e in particolare i veicoli. Sia perché li senti, nella straordinaria acustica dell'altipiano (forse data anche dal silenzio che c'è). Sia perché li vedi, o meglio vedi la nube di polvere che alzano correndo sulle strade sterrate (ne avete un esempio nella foto del lama). Li vedi a chilometri di distanza.
Alla fine, una ventina di chilometri dopo essere partito, torno al punto di partenza. Ma non è finita.
Io mi sono premunito di arrivare con più di mezz'ora di anticipo, come da indicazione del guardiaparco, ma naturalmente l'autobus arriva mezz'ora in ritardo. L'attesa, fermo, sotto il sole caldissimo, è la parte peggiore. Anche perché il terrore che l'autobus sia inspiegabilmente già passato aumenta con il passare dei minuti. Mi sento bruciare e mi rifugio sotto l'unico ponte che c'è. Tanto l'autobus lo sentirei quando è ancora lontano. Di tanto in tanto mi affaccio, anche per vedere in lontananza se passano macchine per fare l'autostop, ma passano tutte nell'altra direzione.
Alla fine arriva, annunciato da una enorme nuvola di polvere, è un autobus che più vecchio e scalcinato non si può, e dentro pieno di polvere che entra dai finestrini, ma io lo saluto come se fosse la manna dal cielo, e la salvezza.
Ce l'ho fatta!
Ce l'ho fatta.
Quasi.
Non mi sento proprio in forma, mi sento bruciare e ho un fortissimo mal di testa. Ma sto tornando verso la civiltà (be', più o meno...), ed è stato come scalare una montagna. Una montagna pianeggiante.
Attorno a me la Puna non fa più tanta paura, da dentro il colectivo. E sempre più pensi di stare sul tetto del mondo. Voglio dire, non il punto più alto, non quello che è il tetto del mondo per definizione, l'Himalaya. Ma una pianura che ti sembra davvero un tetto, come se il mondo vero fosse sotto, come se, attraverso qualche complicato sistema di filtraggio, il sole e le stelle e tutto passino attraverso questo altipiano infinito e arrivino sotto, dove c'è il mondo che noi tutti siamo abituati a conoscere.
Arrivo ad Abra Pampa e prendo un altro autobus che ridiscende la Puna per tornare nella Quebrada di Humahuaca. Mi fermo proprio ad Humahuaca, nell'hostal dove avevamo un mezzo appuntamento con le ragazze argentine, ché domani mi aspetta il viaggio a Iruya.
Appena entro in camera e mi guardo capisco quanto sono incosciente: sono completamente rosso fin sul cuoio capelluto. Mi faccio una doccia rigenerante, e nonostante mi senta un febbrone da cavallo esco lo stesso a fare due passi, mangio, prendo un'aspirina e vado a letto, pronto per altre incredibili avventure.
Per oggi ho vinto io, sulla Puna. Anche se mi sono rimasti i segni addosso. Ma so benissimo che non sarà l'ultima volta che ci incontriamo, con questo posto magico che tanta presa ha, su di me.
Se non sarà per l'escursione al Tolar grande, tra qualche giorno, sarà un'altra volta, ma io e la Puna ci rivedremo.
E spero di vincere di nuovo io.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella avventura! Occhio però ai colpi di sole! Sarà stato per quello o per "il tuo problema ornitologico" ma a giudicare dalle foto gli uccelli che inseguivi sono fenicotteri! I tucani sono molto più piccoli, hanno più becco che altro e di solito amano le zone alberate...

Porzione ha detto...

1) Si vede che sei regista: tutti questi flashback.
2) I guanachi si son fatti avvicinare perchè hanno saputo che non riesci più a finire gli arrosti.
3) Se hai il dubbio che siano orsi bruni, la prossima volta non ti avvicinare.
4) Confermo quanto detto da Paolo sui tucani: forse il colpo di sole è più grave di quel che pensi, fatti vedere.

elrond ha detto...

in effetti avete ragione, volevo dire fenicotteri, la laguna è famosa per questo... sarà stato il sole...

elrond ha detto...

ora che ci penso, forse è stata la quilmes di ieri sera. il fatto è che questa birra scivola via che sembra acqua, ma è pur sempre un alcolico...
vado, mi aspettano giusto quelle 25 ore di autobus, vi farò sapere se arrivo sano e salvo (anche perché ci sono di nuovo i blocchi stradali dei contadini...)

Roberto e Michela ha detto...

Bravo! Hasta la Puna sempre!
che bel connubio foto e testo...
applausi...
ro

simonetta cappello ha detto...

Nobile, il tucano.....

Porzione ha detto...

E' nato o criaturo!

Unknown ha detto...

Cugino!!!!se riesci fino alle 14 italiane del 20 maggio puoi vedere l'intervista ke han fatto a papà x l'inaugurazione del ponte di aliano...il sito è www.tgr.rai.it
clicca sulla basilicata e vedrai tuo zio in tv!!!
un bacio grande da bari
ste!

giorgia ha detto...

io voglio La Martina t-shirt da brava fighetta,,,don't forget it