martedì 29 aprile 2008

Cordoba, o dell'onor salvato

L'arrivo a Cordoba, dopo un lungo viaggio notturno da Bahia Blanca, mi ha lasciato una sensazione molto positiva. Sarà che era domenica e la maggior parte dei negozi era chiusa, sarà il caldo quasi caldo quasi estivo, o l'aspetto coloniale dei suoi edifici (Cordoba è la città argentina che ha meglio conservato l'architettura coloniale) che mancava solo la sabbia portata dal vento della campagna, sarà tutta la gente nei bar e nei caffè all'aperto o semplicemente sdraiata nei parchi, ma la sensazione è stata quella di una piacevole atmosfera di rilassata pigrizia, un po' quella che ti immagini in una città sudamericana dai ritmi lenti e
Poi in realtà non è vero, perché le sette università, l'incredibile quantità di giovani e le tante attività culturali fanno di Cordoba una delle città più vive e dinamiche del paese.
Ma per una domenica, almeno fino al calar del sole, mi ha fatto comodo crederlo, perché avevo davvero bisogno di un po' di sana pigrizia dopo le due intense settimane di Buenos Aires e la settimana di interviste in provincia.
Anche perché, pur scontando un'ultima settimana di incontri che ancora mi aspetta una volta tornato nella capitale, prima di partire, quello che comincia qui è la vera e propria parte “vacanza” di questo viaggio.
Il festival l'ho lasciato a Buenos Aires insieme al catalogo e a tutto il materiale che non aveva senso portarmi dietro, ora ho riposto anche il taccuino dove ho annotato tutte le storie in cui mi sono imbattutto e ho preso saldamente in mano la guida.
E poi Cordoba mi sta simpatica perché è il primo posto, comprendendo anche le strade percorse dagli omnibus, dove non c'è traccia dei manifesti o dei murales pro-berlusconi, quelli pre-elettorali o quelli che hanno messo dopo il risultato (“grazie per aver creduto nel cambiamento”, sigh). Finalmente sono abbastanza lontano, forse.
La caratteristica della città è il centro in stile coloniale, come vi ho detto, e in particolare le costruzioni gesuitiche del '700, dichiarate dall'Unesco patrimonio dell'umanità.
Ho fatto un po' di visite guidate (tanto sono gratis, e i musei costano 1 o 2 pesos, ovvero 20 o 40 centesimi...) e, a parte trovare un paio di guide davvero molto molto brave, mi sono sempre ritrovato nella parte di quello che viene dal vecchio mondo dove la Storia sembra sia cominciata un po' prima (“naturalmente questo ce l'avete anche a Roma” mi è stato detto una decina di volte).
In effetti da europeo (e italiano in particolare) ci vuole tempo ad abituarsi ad un altro modo di considerare cosa è “antico” e “storia”, ma naturalmente non si può commettere l'errore di guardare dal nostro punto di vista, altrimenti tutto apparirebbe insignificante.
Poi in realtà scopri cose dappertutto, come alcune cose sull'ordine dei gesuiti (fondamentale per la storia di tutta l'argentina, non solo di cordoba) che sinceramente ignoravo. O ti imbatti in una storia che avevo scoperto per caso un paio di anni fa, quella del missionario gesuita Matteo Ricci, che ha avuto un ruolo di primo piano nel far da ponte tra la cultura occidentale e quella cinese, raccontata qui con dovizia di particolari per spiegare la vocazione missionaria dell'ordine.
Del complesso centrale chiamato “Manzana Jesuitica” la cosa più interessante, oltre all'antica biblioteca, è la sala dove i novizi superavano l'esame finale: immaginate una specie di navata di una chiesa con un enorme coro ligneo da un lato, sedie dall'altro (rispettivamente posto degli insegnanti e del pubblico di amici e parenti o curiosi) e al centro un pulpito rialzato destinato al candidato.
Questi doveva stare in piedi per 8 ore di seguito e per tre giorni, a rispondere alle domande degli insegnanti. Anche un solo errore significava non passare l'esame.
Ma vi racconterò altre cose di Cordoba domani, la cosa importante è stato recuperare l'onore perduto.
La sera prima ero a cena con dei ragazzi tedeschi (di berlino, ma che coincidenza...) che sono qui da un po' a studiare spagnolo, e mi hanno consigliato un ristorante che secondo loro è il migliore in città per la carne. Allora mi preparo per bene, mi metto il vestito buono, e vado.
Il ristorante si chiama “Beto's”, e ha un'enorme forno per l'arrosto a vista in fondo alla sala. Mi siedo in modo da averlo di fronte, e poter guardare negli occhi il ragazzo che è addetto all'asado (i film di Sergio Leone non sono passati invano, per fortuna).
Do un'occhiata al menu, c'è un parrillada mista che si chiama “diente libre” (una variante locale del “tenedor libre”, dove mangi senza limiti) e capisco che è quello che fa per me.
Per cercare di stroncarmi prima del tempo mi portano, compresi nel menu, un empanada di carne, un'insalata mista gigante e un piattone di patatine fritte con ben due uova strapazzate sopra (qua le uova le mangiano insieme alla carne, come contorno...). Ma non mi lascio intimidire.
Sul tavolo ho un tagliere di legno, e il cameriere passando mi ci poggia sopra di volta in volta pezzi di carne diversi, ma tutti ugualmente enormi.
Ma io ho anche un ottimo Melbac di Mendoza per aiutarmi nell'impresa, e vado avanti stoico, guardando fisso il ragazzo dell'asado. Che prova a vincermi con tre tipi diversi di salsicce di cui una completamente nera e dalla dubbia provenienza (meglio non chiedere notizie sul contenuto), ma io penso ad una nazione intera che è alle mie spalle, all'incitamento della mia famiglia allargata di cui devo difendere l'onore di gran mangiatori (o almeno non da meno rispetto agli argentini!) e vado avanti.
Alla fine mi arriva una bistecca gigante, ma, seppur provato, finisco tutto.
Capisco dallo sguardo ammirato del cameriere di aver finito il primo giro di carne, e allora, prima di fare il passo più lungo della gamba, quando arriva per chiedermi se voglio ricominciare gli dico che “per oggi” va bene così, per fargli capire che potrei anche continuare, volendo (non è vero, ma è controinformazione, of course).
E per dimostrarlo, prendo pure il gelato compreso nel menu (come si dice al sud, “sta pagato”...). Tra parentesi, tutto per la modica cifra di 40 pesos (8 euro). E neanche a dirlo, la carne era spettacolare.
Duramente provato ma felice di aver pareggiato il mio conto aperto con l'asado, mi alzo e naturalmente mi sdraio per tre ore in un parco per tentare di digerire...
Comunque vorrei un applauso, per favore.
Grazie!

P.s.: sto sorvolando di proposito sulla terribile notizia giunta da Roma... credo di non meritarmelo, un sindaco fascista con la croce celtica tatuata orgogliosamente sul collo...

Bafici: considerazioni finali

Sono rimasto un po' indietro con il racconto del festival.
Eccovi serviti.
Dunque, innanzi tutto la terza proiezione: stavolta è nel centro culturale Recoleta, quello di cui vi ho già parlato. Con meno gente, ma si tratta di un pomeriggio di un giorno feriale e il Centro è un po' fuori rispetto al circuito del festival. Solito delirio con il traduttore che non arriva, e meno male che stavolta sono più tranquillo perché c'è anche Gabriela (che alla seconda proiezione non aveva trovato biglietti...) e abbiamo pranzato insieme, ma la serenità mi passa subito quando mi tocca fare la presentazione in spagnolo perché ormai è ora di iniziare... Per fortuna poi il traduttore arriva perché il q & a non sarei riuscito a sostenerlo. Il dibattito è ancora una volta molto interessante, partecipato e con belle domande. Il mio tono è un po' più rassegnato visto che è il lunedì elettorale, e proprio durante la proiezione mi ero collegato per sapere i risultati, scoprendo l'orribile verità.
Comunque mi ha fatto molto piacere la presenza di molti giovani che poi mi hanno detto che nemmeno conoscevano Dario Fo ma che dopo il documentario avrebbero cercato di leggere qualcosa di suo. Addirittura una ragazza che era venuta a farmi i complimenti alla seconda proiezione è tornata portandosi degli amici, e poi dopo è venuta e voleva sapere come poteva rivederlo ancora... va be' alla fine le ho regalato un dvd.
C'è stato anche chi mi ha proposto di metterlo su internet così da diffonderlo in SudAmerica...
Alla fine, comunque, la cosa triste è che in sala ho avuto più spettatori in Svizzera e in Argentina che in Italia!
Due giorni dopo Agostina, il mio angelo custode dell'ufficio stampa, mi ha concentrato tutte le interviste. Anche qui, delle belle interviste di un'oretta l'una, molto centrate sull'attualità politica delle elezioni e sul significato politico del documentario. Una è stata con un settimanale uruguagio e vi metto la foto, l'altra era una giornalista argentina dell'Ansa (vi metto il link della cache di google), poi una rivista online argentina (ma non è ancora pubblicato) e infine la tv di Buenos Aires...
In generale, comunque, sono molto contento dell'esperienza in questo festival giovane e dinamico.
Dei film che ho visto, non molti a dire la verità, ne ho trovati alcuni molto coraggiosi, decisamente difficili ma proprio per questo era bello vedere le sale piene. (a uno, a dire la verità, un documentario su una stazione di polizia al confine tra Cina e Corea, Crime and Punishment la gente se ne andava anche, ma si è persa le parti più belle!)
Sono riuscito a vedere un po' tutte le sale, per curiosità, tra cui un cinema storico come il Cosmos e sale di centri culturali o di musei come il Malba (l'avveniristica struttura del museo di arte moderna, ve ne parlerò).
Ma la vera sorpresa è stato il pubblico argentino: sempre presente in massa, attento, giovane (ma non solo), partecipava alle proiezioni con risate, a volte applausi, rari commenti dalle ultime file... insomma un pubblico d'altri tempi. E fuori dalla sala, dopo il film, commenti sempre molto interessanti, discussioni serrate e appassionate, confronti colti e consapevoli.
In generale, l'impressione che ho avuto è di una città che il cinema lo ama ancora tanto e lo fa restare una cosa viva.
Non è poco, credo.

lunedì 28 aprile 2008

L'Italia che (non) c'è

La temporanea assenza da Buenos Aires questa settimana mi ha portato in due posti diversi.
Prima ho passato tre giorni a Mar del Plata, “la perla dell'Atlantico”, o se volete la Rimini dell'Argentina, il posto dove da Buenos Aires si va a passare le vacanze estive o qualche fine settimana lungo.
L'atmosfera era quella un po' malinconica dei posti di mare fuori stagione (qui è ottobre, anche se fa caldo lo stesso e c'era molta gente in spiaggia e alcuni anche in acqua), con molti stabilimenti chiusi, le lunghissime spiagge senza ombrelloni, il gigantesco casinò mezzo vuoto.
Le uniche differenze con la riviera romagnola: qui in bassa stagione rimangono comunque quelle 700.000 persone che abitano in città; e poi, quello che hai di fronte non è un mare ma è pur sempre un signor Oceano.
E poi naturalmente i vecchietti non giocano a bocce ma ad una variante locale con delle bocce che non rotolano ma rimangono ferme lì dove atterrano.
La tappa è stata proficua: innanzi tutto perché ho ripreso a respirare aria buona dopo l'inquinamento e il fumo di Buenos Aires. E poi perché ho trovato molte storie interessanti per il mio futuro documentario.
Anzi, l'accoglienza dei nuovi e vecchi migranti italiani è stata incredibile. Strano come tra italiani ci si sente parte di una comunità solo quando si è all'estero, e neanche sempre, e quasi mai in Italia.
Ho parlato (ascoltato in verità) per tre giorni dell'immagine che hanno qui del nostro paese, e poi anche nei tre giorni successivi durante i quali invece sono finito 500 km più a sud, a Bahia Blanca, inseguendo un'altra storia di emigrazione questa volta lucana.
(Bahia Blanca è quasi a metà Argentina: trovi autobus che ti portano 2000 chilometri più a nord come 2500 più a sud...)
Chi è partito negli anni '50 conserva dell'Italia quell'immagine lì, al massimo si ferma agli anni '60, con i divi del nostro cinema che arrivavano all'allora prestigioso festival del cinema di Mar del Plata. E' un'immagine di un'Italia che non c'è più, quella dei film di Tornatore, l'unica che non a caso all'estero continuano a voler vedere, che riconoscono. Ma chi riesce ad andare a vedere l'Italia, quella vera, alla fine torna comunque qui, perché non riconosce l'Italia che trova, e forse la ritrova più qui, dove se l'è costruita a immagine e somiglianza, e forse è alcune tradizioni sono rimaste meglio conservate qui che non nel nostro stesso paese.
C'è nostalgia per un paese che non esiste più. Oppure, nei giovani o meno giovani che sono arrivati negli ultimi anni, in questa sorta di nuova migrazione dalle caratteristiche totalmente differenti che sto cercando di capire e approfondire, c'è un rifiuto, più che una fuga, di tanti aspetti dell'Italia di oggi che non si ha più voglia di sopportare.
Comunque gran belle storie e gran belle persone, davvero. E ci si commuove a vedere e sentire storie così dure che ancora fanno scorrere qualche lacrima in volti induriti dal tempo e dalla fatica. Non ne posso parlare qui nel blog per ovvi motivi, ma conto di tornare presto in queste latitudini per raccontarle, le loro storie. (è una minaccia, ovviamente)
Invece, volevo condividere con voi una cosa. Proprio dopo questi giorni in cui parlavo continuamente dell'Italia, il caso ha voluto che ieri sera, tornato presto in albergo perché stanco dalle 7 ore di autobus con sveglia alle 4 e mezza della mattina, abbia acceso la tv e mi sia imbattuto in Raitalia (che sarebbe la vecchia rainternational). E in particolare in Saviano ospite da Santoro. Ho visto tutto Anno zero e mi è tornata un'angoscia che da quando sono in Argentina avevo dimenticato (e non solo perché sono in vacanza, questa tranquillità della vita e del modo di affrontarla è una delle motivazioni più comuni in chi ha scelto di venire qui: soprattutto, credo, l'assenza di paura).
Ad un certo punto quando sono andato in bagno ad incipriarmi il naso (ah no, quello lo dicono le signore, pardon) ho avuto un piccolo corto circuito e per un attimo ho pensato seriamente di trovarmi a Roma.
Non so cosa voglia dire, non ci provo nemmeno, a capirlo.
Solo, forse non ce lo meritiamo, tutto questo.
L'angoscia e la disperazione nelle quali viviamo immersi, senza nemmeno rendercene bene conto, salvo poi per qualche fortuito motivo guardarci da fuori e stupirci, molto banalmente, di come facciamo nonostante tutto a respirare.

p.s. sono riuscito a spedire questo post mentre sono appena arrivato a Cordoba, a nord-ovest di Buenos Aires e 950 km più a nord di Bahia Blanca. Presto vi farò sapere come va qui...

mercoledì 23 aprile 2008

La Boca

La Boca: la bocca di Buenos Aires. Buenos Aires è il più meridionale dei tre grandi porti del mondo. Per arrivare alla Boca bisogna fare altri tre chilometri. Osservate la mappa: vedrete che le donne che sono lì non potrebbero effettivamente scendere più in basso di così. La Boca è la fine del mare. [...] La Boca è come una coscienza che, appesantita di tutti i peccati morali e trascinata a riva, sopravvive alle maledizioni del mondo”
Albert Londres

Se sei a Buenos Aires, non puoi non andare a vedere La Boca. Eppure tutti, dalla guida alla gente di qua, mi hanno detto di andare in taxi, di vedere il Caminito, la via più famosa di La Boca, e di tornarmene indietro.
Perché? perché il resto è muy peligroso.
Io non ci credevo granché, anche perché ho le mie idee sulla questione sicurezza a Buenos Aires di cui poi vi parlerò.
E allora, visto alloggio in un quartiere confinante, San Telmo, ci sono andato a piedi.
Anche perché non volevo perdermi, sulla strada, Parque Lezama. Che, secondo la leggenda, è il primo posto dove attraccò Pedro de Mendoza nel 1536, quando decise di fondare proprio qui la città di “Santa Maria de los Buenos Aires”.
All'entrata del parco c'è un'enorme statua del fondatore che ricorda l'evento. Su un altro lato c'è la casa arancione dell'ammiraglio Brown, un'eroe nazionale argentino anche se di nazionalità irlandese. Sua figlia che, pazza d'amore, entrò nel Riachuelo e si lasciò annegare, è conociuta come l'Ofelia del Rio della Plata. Il Museo Historico Nacional occupa un altro lato del parco, sembra che sia molto interessante ma purtroppo era chiuso. A nord, invece, c'è un piccolo anfiteatro che affaccia sull'unica chiesa ortodossa di Buenos Aires, con le sue cupole a mosaici che sembrano del tutto fuori luogo qui.
Borges fu arrestato dentro questo parco perché colto in atteggiamenti equivoci con Estela Canto: sembra che lei volesse fare l'amore con lui, mentre Borges era restio perché non erano sposati...
Dentro il parco, c'è anche l'ennesima lupa romana, una copia in bronzo di quella del Campidoglio, donata dal comune di Roma nel 1923.
Uscendo dal parco verso sud si entra nel quartiere di La Boca. C'è subito una specie di murales che richiama la vita del quartiere: balordi, prostitute, avventurieri, marinai. La Boca è un quartiere che è stato interamente sottratto alle paludi del mefitico Riachuelo per fare spazio ai nuovi arrivi. Il nome richiama la bocca del fiume, dove arrivò Juan de Garay all'epoca della seconda fondazione della città. E' il quartiere degli immigrati, tradizionalmente genovesi (per tantissimo tempo infatti è stato anche il quartiere italiano, all'inizio del secolo scorso qui si parlava soprattutto dialetto genovese), il quartiere del tango e del lunfardo, il gergo dei malavitosi del porto.
Per Borges La Boca era così strana che affermò che era “l'unico punto di Buenos Aires dove niente ricorda Buenos Aires, l'unico barrio dove i turisti venivano da altri barrios”.
Sebreli notò che per anni La Boca era stata il rione più pericoloso di Buenos Aires, soprattutto a causa dei bordelli, delle prostitute e delle bettole dove girava l'oppio. Sesso e droga, insomma, e per fortuna che non era stato ancora inventato il Rock'n'Roll...
In effetti sembra che negli anni '20, quando Buenos Aires rivaleggiava e spesso superava perfino le città europee, il quartiere a luci rosse della Boca fosse nel suo massimo “splendore”, tanto che è stato definito “il più importante mercato di carne umana del mondo”.
Questo perché la grande immigrazione che va dalla seconda metà dell'800 al 1924, era costituita soprattutto da giovani uomini soli, che volevano una donna in fretta ed erano disposti a pagare per averla.
Albert Londres, il giornalista del quale vi ho messo la citazione all'inizio, descriveva una città che “pullulava di maschi”, dove c'erano solo “uomini e nient'altro che uomini”.
C'era addirittura una cricca di magnaccia composta da 500 persone che si travestivano da finti rabbini e si chiamava Zwi Migdal: gestivano fino a 30.000 prostitute.
Nel suo “La tratta delle bianche” Londres descrive proprio questo ambiente, nel quale era riuscito a infiltrarsi:
La vera Boca è nelle Casitas. Sono incredibili. Gli uomini, invece di sedersi, stanno in piedi, appoggiati al muro. Umili, poveri, rassegnati, come una fila di poveri in attesa fuori da un ufficio di collocamento in inverno.
Ed è qui, in questi bordelli, che è nato il tango, che pare all'inizio gli uomini ballassero tra loro nell'attesa del loro turno. E questa solitudine e sproporzione tra uomini e donne spiega anche molta parte della malinconia dei testi.
Tutto, comunque, cambiò con il peronismo, quando la vita de La Boca come quartiere a luci rosse fu notevolmente limitata.
Negli anni '60 il quartiere diventò meta di artisti di ogni genere, e diventò il quartiere bohemienne della città.
Oggi è rimasto molto popolare, e sicuramente povero.
Sembra davvero di stare a Genova: ai lati delle strade le case hanno dei marciapiedi sopraelevati, alti quasi un metro, e questo perché il Riachuelo spesso esondava e allagava il quartiere.
Camminando per arrivare nella parte più vecchia di La Boca, si incontrano case povere ma ordinate, e tanta gente (soprattutto bambini e ragazzi) che vive per strada (nel senso di fuori di casa, sulla strada).
C'è un parco molto grande che in effetti è più una spianata di erba, e, sullo sfondo, il colorato stadio del Boca Juniors, che è forse il vero centro del quartiere.
Continuando, si arriva in fondo, e sul Riachuelo grandi macchine ricordano che questo prima era il porto della città. Il lungofiume è un vero e proprio passeggio, pieno di bancarelle e con un larghissimo marciapiede. Cominciano ad apparire le caratteristiche case di lamiera colorata. Sembra che i colori sgargianti derivino dalla vernice usata per dipingere le navi, che quando avanzava i marinai usavano per colorare le loro misere case.
L'aspetto generale è tutto sommato divertente, fino a che non si arriva al Caminito e lì tutto cambia: centinaia e centinaia di turisti si accalcano nella stretta strada (il cui nome deriva da un famoso tango) e, ligi alle indicazioni della guida, non osano uscire dal recinto preparato per loro dove li attendono decine di artisti di strada, venditori di vario genere e perfino un finto Maradona con la maglietta dell'Argentina che vi invita a farsi una foto con lui (a pagamento, ovviamente).
Quando sono andato io era domenica, mi avevano detto che era uno dei giorni migliori, in realtà è solo il giorno in cui ci sono più turisti e quindi più gente che cerca di vendergli qualcosa. I pullman attraversano il quartiere lentamente per permettere di scattare foto dalla sicurezza del proprio comodo posto, poi li scaricano e li vengono a prendere al Caminito.
Se non fosse chiaro, il Caminito non mi è piaciuto, sembra un luna park. Chissà, magari in un giorno feriale, o di sera...
Invece, spingendosi oltre, nelle piccole stradine, si scoprono scorci interessanti, bambini che giocano a pallone, gente che dalla finestra al primo piano si improvvisa venditore di qualsiasi cosa...
E poi arriva, quasi all'improvviso, come un tempo doveva essere San Pietro prima della creazione di via della Conciliazione, La Bombonera.
Sì, lo so, il paragone è un tantino forte, ma qui il Tempio è questo.
Già per tutta l'Argentina il calcio è una vera e propria fede (tanto che ha spinto una volta l'ex presidente Menem a dichiarare che “il calcio è una delle principali attività culturali dell'Argentina”...) ma per questo quartiere è un vero e proprio simbolo identitario.
Il Boca Juniors, club fondato dagli immigrati genovesi (all'inizio i giocatori erano infatti chiamati “los xeneizes”, che in dialetto genovese significa appunto “i genovesi”), raccoglie nel suo mitico stadio a forma di ferro di cavallo tutta la voglia di riscatto di un quartiere tradizionalmente povero e diseredato.
E allora, dovevo una foto a qualcuno, eccola...
Comunque esplorare La Boca è decisamente consigliato, alla faccia delle guide e degli stessi portenos. Oddio, magari sono stato solo fortunato, come mi ha detto qualcuno, e sicuramente la sera il quartiere deve fare tutt'altra impressione, ma io non ho mai avuto neanche la sensazione del pericolo.
E poi, in verità, non potevo mica pensarla diversamente dal mio mito Wong Kar-Wai, che proprio nel quartiere e nei dintorni dello stadio ha ambientato Happy Together. Intervistato, ha dichiarato: “Mi piaceva La Boca perché mi ricordava di un posto di Honk Kong, per l'odore. Mi dissero che era pericolosa, ma io ho pensato: a me non sembra poi tanto pericolosa”.
La Boca mi è piaciuta molto, sarà anche che mi ha salutato con un tramonto spettacolare...
Anche se, a proposito dell'odore, il fiume è veramente pestilenziale, ma l'odore acre si mischia con quello dolce dei venditori ambulanti di mandorle caramellate...
Vi lascio con due curiosità che riguardano il quartiere.
La prima è che a fine '800 gli immigranti genovesi, dopo uno sciopero, avevano addirittura dichiarato il quartiere “Repubblica Indipendente de La Boca”, con una bandiera speciale, e sembra sia dovuto intervenire il Presidente in persona.
La seconda è che proprio qui è stato eletto il primo deputato socialista.
(embé, direte voi? niente, era così, tanto per dire)

martedì 22 aprile 2008

Fuori, la Pampa

Questa città in fondo mi vuole bene.
Oggi, giorno di partenza, non voleva farmi andare via. E ha provato a trattenermi con una giornata spettacolare, finalmente senza fumo, il cielo limpidissimo, sole, un caldo estivo.
Ma niente, non mi sono lasciato corrompere. Aveva anche provato, ieri, a non farmi prelevare per tutto il giorno, in modo che non avessi soldi per pagare l'ostello, ma stamattina sveglia di buon ora e giro di quattro banche diverse per prelevare i soldi necessari.
Il terminal Retiro di Buenos Aires è un posto assurdo. E' l'arteria centrale per la quale passano quasi tutte le rotte degli argentini (e dei turisti). C'è un sacco di gente che parte e arriva, ci sono un centinaio di piazzole per le partenze e diverse decine di partenze all'ora, ma tutto si svolge in maniera molto ordinata. Ti annunciano la partenza una ventina di minuti prima, come se fosse una stazione di treni che deve razionalizzare i binari.
C'è naturalmente un campionario di varia umanità, compreso un esercito di ragazze che vanno a caccia di chiunque abbia uno zaino per cercare di convicerlo ad andare al tal o talaltro ostello.
Ma perché l'autobus?
Il treno serve solo per una piccola parte della provincia di Buenos Aires, poi quasi scompare. L'aereo c'è ma è relativamente costoso. Rimane il servizio di trasporto tramine omnibus, che coprono in maniera capillare tutto il paese e sono una vera sorpresa. Anche qui, come per i colectivos di Buenos Aires, ci sono tante aziende diverse in concorrenza tra loro. E la concorrenza si attua, oltre che con sconti e tariffe più basse, a suon di servizi ed estetica. Già da fuori gli omnibus sono imponenti e colorati, con grandi disegni e scritte sulle fiancate.
Io sapevo poco su quale prendere, sapevo solo che ci sono vari tipi di posti, a seconda che tu abbia più o meno spazio per stederti. Vedo quello che come orario mi va meglio, e finisco senza saperlo in un fantastico omnibus ejecutivo, ovvero solo con i posti “cama”, quelli migliori. Costa naturalmente di più, ma parliamo sempre di 76 pesos (15 euro) per un tragitto di circa 500 chilometri.
Io pensavo ad uno scomodo viaggio in pullman e mi ero premunito con le classiche cose: ho mangiato prima, ho comprato l'acqua, sono andato in bagno, ecc.
Invece, una volta dentro, scopro con stupore il paradiso dei pullman: enormi sedili (ma dovrei dire meglio poltrone) in pelle con una marea di spazio avanti e dietro, l'hostess che ti porta il pranzo come in aereo, un distributore sempre a disposizione di caffé e acqua, tv che mandano film americani, le cuffie per la radio, e naturalmente un bagno gigante.
Guardo come fanno gli altri e capisco l'usanza: ci si mette al piano di sopra, c'è tutto un sistema per abbassare la poltrona che si abbassa mentre si alza un supporto per le gambe (come immagino succeda nella business class degli aerei nei voli a lungo raggio, ma qui c'è sicuramente più spazio), ci si toglie le scarpe, ci si sdraia come se si fosse a letto, e o si guarda il panorama così, oppure si dorme placidamente. Alcuni se sono svegli hanno la loro bottiglietta di acqua o coca o altro con la cannuccia e non fanno neanche lo sforzo di bere dalla bottiglia, una vera e propria homerata.
E' come viaggiare sul proprio letto ma con attorno, volendo (c'è un sistema per circondarsi con le tende per isolarsi dalla luce o dagli sguardi dei vicini!) l'Argentina che scorre.
Poi l'omnibus ha delle sospensioni eccezionali, non senti nulla, boh. Sicuramente sono capitato in uno di lusso, ce ne sono anche di scalcinati, ma, anche se sono sempre stato a favore del treno e contro il trasporto su gomma, così è davvero una favola viaggiare.
Unico appunto al mio omnibus della compagnia “El rapido Argentino” il rivestimento in pelle delle poltrone, che oltretutto è caldissima, mi immagino d'estate, non c'è aria condizionata che tenga.
E fuori da buenos aires, naturalmente, ad aspettarmi c'è la pampa. La pampa umida, come si chiama questa che c'è a sud-est della città. Ma è pur sempre notevole trovarsi in un posto che non ha orizzonte, non c'è assolutamente nulla che interrompa lo sguardo per decine, forse centinaia di chilometri.
Non vi metto foto perché non rendono.
Tutto piatto. Solo erba, mucche, qualche albero. E neanche una collinetta messa lì per sbaglio, senza volerlo.
No, non è come la pianura padana. Perché qua c'è un'altra cosa che manca: le case. Non ce ne sono, semplicemente. Ogni tanto una stazione di servizio, ogni molto un piccolo paese costruito lungo la strada (che è un'autostrada, in realtà).
Il resto è pianura. Pardon, pampa.
Le uniche due cose verticali in effetti sono i pali della luce e qualche enorme (enorme) cartellone pubblicitario, ancora più assurdo perché sperduto nel nulla.
Cinque ore dopo, arrivo a Mar del Plata. Ma questa è un'altra storia.

P.s.: compatibilmente con gli internet café che troverò (a Bs As c'è il wifi gratis dappertutto, ma non credo che sarà lo stesso fuori) proverò a continuare a raccontarvi della capitale, anche perché ci sono ancora tantissime cose da dire.
Con qualche aggiornamento su dove sto, ma tanto in questi giorni sto principalmente incontrando emigrati italiani per approfondire un po' di idee per un documentario... Insomma sto lavorando per voi.

lunedì 21 aprile 2008

Mi pento: un regalo riparatore

Sì, poi ho pensato che voi l'avreste letto di lunedì mattina e avreste cominciato male la settimana (parlo del post qui sotto).
Allora provo a farvela cominciare meglio.
Vi ho già detto che questa è una città che dice No hay ciudad sin poesia. Poi in effetti le poesie in metropolitana le ho trovate, e anche su cartelloni 6x4, al posto delle facce dei politici.
E stasera mentre tornavo ho scoperto che un'altra di quelle che mi sembravano leggende metropolitane invece è vera: c'è gente che scrive poesie e ve le vende per la strada.
Ecco, voglio dire, se questo non vi basta per saltare su un aereo e venire non avete cuore.
Comunque, il regalo è questo. Uno dei primi giorni ero finito al Centro Culturale Recoleta, uno spazio molto interessante, un ex convento dove fanno una marea di cose e tutte gratis. C'era tra le altre mostre una mostra fotografica molto interessante, di tal Adriana Lestido, argentina (ha un sito dove ci sono anche foto della mostra). Erano ritratti soprattutto sul rapporto madre/figlia. Alcune molto carine. C'erano anche dei testi di accompagnamento, e uno era questa poesia che ho ricopiato per voi e vi regalo, così, tanto per iniziare con un po' di poesia la settimana. Non è troppo difficile, e poi le poesie non si traducono.
Buon lunedì!

¿SERÁS, AMOR?

¿Serás, amor
un largo adiós que no se acaba?
Vivir, desde el principio, es separarse.
En el mismo encuentro
con la luz, con los labios,
el corazón percibe la congoja
de tener que estar ciego y sólo un día.
Amor es el retraso milagroso
de su término mismo:
es prolongar el hecho mágico
de que uno y uno sean dos, en contra
de la primer condena de la vida.
Con los besos,
con la pena y el pecho se conquistan,
en afanosas lides, entre gozos
parecidos a juegos,
días, tierras, espacios fabulosos,
a la gran disyunción que está esperando,
hermana de la muerte o muerte misma.
Cada beso perfecto aparta el tiempo,
le echa hacia atrás, ensancha el mundo breve
donde puede besarse todavía.
Ni en el lugar, ni en el hallazgo
tiene el amor su cima:
es en la resistencia a separarse
en donde se le siente,
desnudo altísimo, temblando.
Y la separación no es el momento
cuando brazos, o voces,
se despiden con señas materiales.
Es de antes, de después.
Si se estrechan las manos, si se abraza,
nunca es para apartarse,
es porque el alma ciegamente siente
que la forma posible de estar juntos
es una despedida larga, clara
y que lo más seguro es el adiós.

PEDRO SALINAS

Dove la sinistra c'è ancora

Va bene, lo so, non è questo il luogo adatto.
Prometto, è l'ultima volta (sto tenendo le dita incrociate, però).
Stasera tornavo verso l'ostello con una passggiata defatigante (anche perché finalmente il fumo sembra se ne sia andato) e, dopo essermi imbattuto in un improbabile concerto in una zona resa pedonale di Avenida De Mayo, passando per l'obelisco noto un centinaio di persone che fanno festa con bandiere e canti vari. Penso alla domenica di sport e immagino i tifosi che festeggiano (qua a ogni partita festeggiano come da noi lo scudetto, sono pazzi). Poi mentre scatto una foto uno mi chiede che succede. Io rispondo boh, sarà per una partita. Però hanno tutti bandiere del Paraguay, mi fa. E in effetti era vero. Mi avvicino un po' e noto che hanno anche cartelli dal chiaro stampo politico.
Poi ricordo che c'erano le elezioni in Paraguay, e anche se i risultati non erano ancora definitivi, i paraguayani festeggiavano il cambio di governo dopo circa 60 anni di potere della stessa oligarchia.
Ha vinto (pare) Lugo, ex vescovo appoggiato dalla sinistra, con un programma piuttosto radicale di lotta ai latifondi e alla soia transgenica, che in pochi anni ha ridotto alla fame i contadini e ha fatto diventare semplici braccianti tanti piccoli proprietari terrieri. Lugo è appoggiato fortemente anche da Lula e dal movimento dei Sem Terra.
Qui in Argentina la cosa è molto sentita perché sono addirittura due milioni (su sei milioni di abitanti del Paraguay) gli emigrati in questo paese.
Non so, giusto per portare un segnale di speranza. Qui c'è un senso della sinistra e della lotta sociale che per noi ha un sapore antico, e lo dico in senso buono. Ne riparleremo.
Non voglio angustiarvi oltre, però mi è capitato questo giornale uruguagio che spiega in parole semplici quello che è successo in Italia. Ovvero, dà una interpretazione, che però mi sembra quanto mai lucida, considerata che viene da un giornale dell'Uruguay...
Vi allego una riproduzione, basta leggere anche solo il primo paragrafo.
Piuttosto forte l'idea che si ricorra finalmente a sanzioni internazionali, visto che gli italiani non riescono a liberarsi da soli del "pifferaio di Hamelin, delle sue battute grevi, del suo denaro senza limiti, delle sue ballerine, dei suoi corrotti e corruttori" che, con i prossimi 5 anni più 7 di governo, dice l'articolo, avrà dominato la politica italiana per 26 anni, 4 in più di Mussolini.

domenica 20 aprile 2008

San Telmo e la feria

“Tutti gli argentini sanno che il Sud comincia dall'altro lato di Rivadavia”
Jorge Louis Borges

Secondo Borges, El Sur ha inizio una volta che attraversi Avenida Rivadavia, che è la strada che taglia in due la città da est a ovest, il punto in cui tutte le altre strade che corrono da nord a sud cambiano nome. Per gli argentini è la strada cittadina più lunga del mondo: sembra che superi il numero civico 20.000...
La parte sud della città, la più antica, era anche la zona “bene” della capitale fino all'epidemia di febbre gialla del 1870, che indusse chi poteva permetterselo a trasferirsi nel Barrio Norte, mentre i caseggiati patrizi venivano a poco a poco occupati e stipati dalle famiglie più povere.
Per il Borges giovane, El Sur era pericoloso: “Dietro ai suoi muri sospetti, El Sur nasconde un pugnale e una chitarra”.
Oggi San Telmo è considerato uno tra i quartieri storici rimasto meglio conservati, con le sue case basse, le strade strette e a volte acciottolate, l'atmosfera ancora popolare (compresi, naturalmente, le asambleas del pueblos)
E' un quartiere che cambia volto dal giorno alla notte (ma questa è una tendenza molto forte in tutta la città, ne riparleremo), da quartiere popolare diventa uno dei quartieri dove uscire a cena o a bere qualcosa, con un'alternanza piuttosto confusa di trattorie tipiche, ristoranti esclusivi, piccoli chioschi e locali alla moda. Il tutto però conserva ancora un che di genuino, nonostante tutto.
E San Telmo cambia ancora tra i giorni feriali e il fine settimana. Il sabato infatti c'è un piccolo mercatino in Plaza Dorrego (il cuore antico del quartiere, nonché una delle piazze più antiche della città) che mi sembrava già molto carino, ma poi la domenica mattina la classica “feria de San Telmo” si estende quasi per chilometri, e l'atmosfera è quella festosa di un punto di ritrovo di tutta la città (moltissimi turisti, naturalmente, ma anche i porteñi ci vanno). Praticamente dal centro, da Plaza de Mayo, lungo tutta la strada che porta a Plaza Dorrego si alternano piccoli e coloratissimi banchetti che vendono un po' di tutto, compreso cibo fatto in casa, e artisti di strada di tutti i tipi e le foggie.
E' molto divertente camminare tra le strade improvvisamente così piene di gente di San Telmo (sembra che i visitatori siano circa 10.000 ogni domenica!). Per la calma, l'atmosfera rilassata e la quantità e qualità dell'offerta, il mercatino (alla faccia del mercatino, è enorme) sarebbe il paradiso di parecchie persone che conosco (stranamente, ma è solo una coincidenza, di genere femminile). Anche perché i più shop-alchoholic potranno alternare la fatica del mettere continuamente mano al portafoglio con i vari e divertenti spettacolini degli artisti di strada.
Si va dal tipo che semplicemente si siede in posizione del loto e suona il bastone tibetano (e non si capisce perché la gente dovrebbe dargli una mancia mentre lui è lì che medita...), a quelli che danno abbracci gratis, a piccoli gruppi che suonano (ma naturalmente gli argentini fanno le cose in grande, mica due o tre persone, orchestrine anche di 12 elementi...), coppie che ballano il tango, anziani signori che lo insegnano ad attempate turiste, chi con la chitarra suona e canta le canzoni di Gardel, chi invece, vestito a tutto punto da malvivente criollo, minaccia i passanti con un coltello e importuna le donne con un fiore in bocca, mettendo in scena tutta la mimica e la gestualità del balordo porteno tanto celebrato in poesie, tanghi e racconti.
Naturalmente il tango è dappertutto, e non solo ad uso e consumo dei turisti: questo infatti è uno dei quartieri dove il tango è nato, proprio perché era uno dei più popolari della città, e infatti molti locali che fanno spettacoli di tango sono proprio da queste parti. Ma devo ammettere che anche quelli che ballano per strada sono di una bravura impressionate. Si rimane incantati a guardarli. Ma soprattutto a sentire chi lo suona, è come se le note dei tanghi tra le mura di questo quartiere risuonassero più vere, come più attuali, come se tutta quella malinconia, la tua terra lontana, le donne che non ci sono, i sogni non realizzati, fossero ancora vivi ed attuali.
Ma di tango parleremo ancora, magari quando vi racconto de La Boca.
Tra gli incontri più divertenti c'è stato questo ragazzo vestito di tutto punto da fornaio che portava in giro questo specie di mini-carrettino con sopra delle coperte di lana per tenere al caldo i suoi “pan rellenos calentitos” che continuava a declamare in versi neanche si trattasse di una poesia rinascimentale...
Naturalmente (e solo per potervelo raccontare) ne ho assaggiato uno, anche perché vedevo che tutti i proprietari di banchetto del mercato ne prendevano: si tratta di una specie di calzone ma molto più grande e ricco in condimenti (ce ne sono di diversi tipi) e fatto con la pasta della pizza. Spettacolari, tra le cose più buone che ho mangiato qui.
Altre due cose curiose di San Telmo: c'è la sede della casa editrice Sudamericana, quella storica che, per intenderci, ha pubblicato "Cent'anni di solitudine". E c'è un museo penitenziario proprio accanto ad una delle chiese più antiche della città. Perché mai, vi chiederete voi? Perché il carcere femminile era all'inizio gestito dalle suore...
Niente battute! Vi ho sentiti!

AGGIORNAMENTI SUL FUMO.
Ancora tanto, soprattutto la mattina quando l'aria è quasi irrespirabile. Ormai non si parla d'altro, i giornali hanno mezza prima pagine stabilmente dedicata all'argomento. Passato tutto questo tempo, sembra sia l'episodio di inquinamento più grave della storia di Buenos Aires.
Che culo essere qui proprio adesso!
Tra l'altro nonostante le rassicurazioni del ministro, non si è convinti che il fumo sia così innocuo... alcuni dicono che contenga una quantità notevole di monossido di carbonio.
Va be', vorrà dire che da lunedì sentirò un po' meno del previsto la mancanza di questa città...

sabato 19 aprile 2008

Italiano? Ah, Cicciolina!

Una volta esportavamo calciatori.
Andavi all'estero e ti dicevano: italiano? Ah, Paolo Rossi!
O, negli anni successivi, Schillaci, Baggio, Del Piero, Totti.
Poi hanno cominciato a fare battute su Berlusconi (e ancora le fanno, ridendo sotto i baffi, quando sono educati, se no a 72 denti).
Qua in Argentina siamo più avanti: invece di esportare calciatori o "campioni" della democrazia, esportiamo ex pornostar (ex?) nonché ex parlamentari. (d'altra parte non c'è più la commedia all'italiana, ma abbiamo uno spettacolo altrettanto divertente, la politica...)
Mi è sembrata una cosa piuttosto curiosa, visto che più persone mi hanno detto la frase del titolo.
Poi ho capito: Cicciolina è qui.
E' venuta qualche mese fa come ospite d'onore della prima edizione di un festival del cinema erotico, e evidentemente l'accoglienza è stata tanto calorosa (?!) da indurla a rimanere, e la sua partecipazione di poche settimane fa ad un programma televisivo (la versione locale del nostro "Ballando con le stelle") le ha regalato una grande popolarità, perché il pubblico l'ha amata mentre i severi giudici l'hanno ingiustamente penalizzata nei voti, e sembra si sia parlato molto della sua ingiusta esclusione.
Comunque tutto questo era solo per dire che oggi prima ho visto la copertina dell'Economist, con il bel faccione del Berlusca in copertina e il titolo "MAMMA MIA - Here we go again".
Poi ho letto il Corriere della Sera, che qui il venerdì esce in allegato con il giornale più diffuso, La Naciòn.
Per un attimo ho pensato che fosse una edizione satirica: Berlusconi che invita Putin nella sua villa, che gli organizza ad hoc uno spettacolo del Bagaglino (sigh) e che gli dice (a Putin!) che è riuscito a eliminare tutti i comunisti dal Parlamento...
Tutto questo mentre si prepara a regalargli (a Putin) l'Alitalia. Meglio ai comunisti che a quegli sciovinisti di francesi, deve aver pensato.
Non so, non è questo il luogo per parlarne, però da quaggiù sembra tutto ancora più assurdo, come se fosse tutto uno scherzo...
Perché è uno scherzo, vero?
Dai ditemelo, adesso basta, il gioco è bello quando dura poco...
Ha vinto Veltroni, l'Italia si è svegliata da un lungo sonno della ragione, il paese non è allo sfascio.
vero?
vero?...
...
.

venerdì 18 aprile 2008

Otra vez humo

Sì, qui non si parla d'altro.
E vedo che la notizia è arrivata fino in Italia...
La gente è molto arrabbiata, anche se la situazione, almeno in città, non è tragica come la descrive Repubblica...
Diciamo che oggi in particolare il fumo si è intensificato e dà parecchio fastidio: al di là della visibilità ridotta, non si respira esattamente che è un piacere e gli occhi bruciano un po'.
Ma la città non è paralizzata, come dice la stampa staniera... Hanno chiuso per qualche ora l'aeroporto del nord della città, quello solo per i voli locali, e qualche arteria stradale fuori Buenos Aires. In effetti mi dicono che ci sono stati parecchi incidenti stradali ma tutti fuori dalla città.
Io chiedo sempre a tutti che succede in realtà per capire cosa ne pensano. Non c'è tutta questa rabbia nei confronti degli allevatori, i quali hanno cominciato a bruciare i pascoli e i terreni dopo la raccolta (anche se è vietato). Però il fatto che tutti abbiano cominciato lo stesso giorno e l'estensione dei campi incendiati (si parla di 300 incendi che coinvolgono 70000 ettari di terreno) ha fatto sì che qualcuno pensasse (e prima di tutto il governo della Kirchner) che tutto fosse stato architettato ad arte.
In effetti la guerra tra coltivatori e governo, che aveva già paralizzato il paese per settimane con i suoi blocchi stradali, non ha trovato una conclusione ma solo una tregua. E sembra che i negoziati proprio qualche giorno fa siano arrivati ad un punto morto.
Certo il vento ha fatto la sua parte, ed è difficile pensare che tutto sia stato progettato per creare problemi alla capitale, ma comunque qua i metereologi dicono che prima di lunedì la situazione non migliorerà.
Peccato, proprio questo fine settimana che volevo fare il giro dei parchi della città...
E per fortuna che la città si chiama Buenos Aires....

p.s. Domani pubblico il post su San Telmo, è quasi pronto.

giovedì 17 aprile 2008

Tanto fumo e troppo arrosto

Allora, ho capito una cosa.
Non riesco a raccontarvi le mie giornate.
Come succede sempre quando si sta viaggiando (e non in un solo piano spazio-temporale) l'intensità è tale che bisognerebbe avere un tempo uguale a quello che si ha la pretesa di raccontare, per dire tutto.
Allora ho deciso di lasciar perdere l'idea di star dietro alle giornate (sono già indietro di quasi una settimana!) per essere forse più fedele all'idea di blog e scrivere post più sintetici (ci provo, almeno, poi non è per niente detto che ci riesca...).
E un po' per rispondere a sollecitazioni arrivate da più parti, un po' per consolarci del disastro che ci è toccato in sorte, ho scelto come primo argomento la cucina (anche perché dopo dieci giorni un'idea me la sono fatta).
Non c'è bisogno di dire che questo è solo il capitolo 1 di “n” su un argomento tanto importante...
Allora, innanzi tutto i pasti. La colazione non ha un orario particolare, in generale è piuttosto simile alla nostra, salvo che qua non esiste che prendano il caffé al banco (anzi direi che è quasi impossibile farlo anche volendolo intensamente) e al posto dei cornetti hanno delle medialunas dolci ma più spesso salate (e infatti o prendono quelle oppure tostadas, che sono tipo grossi tramezzini tostati).
Ma ci sono anche svariate altre cose dolci tra cui gli alfahores di cui però parlero dopo. Io però non faccio spesso colazione e quindi su questo sono poco preparato...
devo dire comunque che in generale il caffé non è orribile. Voglio dire, scordatevi l'espresso, ma qualcosa di simile al cappuccino si trova e ho provato decisamente di peggio, fuori dall'Italia.
(non c'entra nulla con l'argentina ma per chi non l'avesse ancora visto – impossibile! - guadatevi il corto di Bozzetto Europe & Italy, l'idea più bella è proprio quella sul caffé italiano)
Pranzo. Diciamo che se pranzi all'una sei praticamente da solo (e anzi sei già fortunato se il posto è aperto, ma giusto per i turisti). Da quello che ho capito negozi e credo anche uffici fanno pausa alle 14, e da quell'ora i locali cominciano a riempirsi, con l'ora di punta verso le 15. Ci sono dei menu per il pranzo che sono davvero estremamente convenienti, anche in ristoranti di livello medio-alto (un po' come in fanno in Spagna), diciamo che mediamente i menu a pranzo vanno dai 15 pesos ai 30 (dai 3 ai 5 euro) per un piatto unico molto ricco (anche il bisteccone con contorno se volete), da bere, dolce o frutta e caffé. Insomma è difficile rinunciarci, ma è anche vero che esistono dei posti dove invece prendi panini, torte rustiche o pizza che sono davvero molto invitanti (le torte rustiche in particolare sono spettacolari). Moltissimi locali ti danno piatti anche elaborati para llevar, così puoi andare a mangiare al parco (e molti lo fanno).
Cena. Stesso discorso, alle 20 non c'è nessuno, dalle 21 comincia ad arrivare qualcuno, l'ora di punta sono circa le 23, però ci sono molti posti che ti fanno da mangiare fino all'una, alcuni hanno la cucina aperta fino alle tre.
I prezzi aumentano un po', ma mediamente si spendono tra i 25 e i 40 pesos (5 e 8 euro) in ristoranti di livello medio o medio alto, compreso il vino. In quello più caro dove sono stato, la sera delle elezioni per consolarmi, anche un po' turistico, in pienissimo centro, ho speso 70 pesos (14 euro) ma c'era perfino il suonatore di bandoneon...
Per adesso le cose che mi sono piaciute di più, oltre alle altissime tartas (le torte rustiche di tantissimi tipi), ci sono le empanadas, che qui sono considerati quasi una tradizione, pur se importate dalla spagna (sono una cosa a metà strada tra un calzone e un panzerotto, di solito ripieni di carne o prosciutto e formaggio o verdure, ma ce ne sono di diversi tipi), e naturalmente l'onnipresente carne.
C'è carne ovunque, a qualunque ora del giorno e della notte e in qualsiasi forma. E' impossibile sfuggirle. Solo per orientarsi tra i vari tagli che propongono ci si mette un bel po' (io poi non conosco i nomi dei tagli in italiano, figuriamoci in spagnolo...). Asados e parrillas ti circondano e alla fine, invariabilmente, ti vincono. E' il paradiso dei carnivori e ovviamente l'inferno dei vegetariani. Devo ancora andare nei posti consigliati, ma non sono sfuggito all'inevitabile bife de chorizo, che è ottimo e tenero come te lo aspetti, anche se sono convinto che ci saranno ampi margini di miglioramento, nei prossimi giorni. Non mancherò di aggiornarvi...
Altra tradizione sono i tenedor libre. Ovvero paghi sui 20-30 pesos (4-5 euro) e mangi a volontà. Alcuni sono tipo un break o altri similari in italia (salvo che lì costano uno sproposito), altri sono veri e propri ristoranti con buffet infiniti di qualunque genere di alimenti, compresa l'imprescindibile carnazza che vi cucinano espressa alla griglia. Ne ho provato uno, che dicono sia il migliore, "Grant's", e devo dire che ne sono uscito annichilito. In genere queste cose mi esaltano (paolo & simo ricordate quello di rodi?) ma qui c'è da perdere la testa. Un'offerta prodigiosa di cibo che ti disorienta. Bisognerebbe fare una spedizione con i cugini baresi per far loro pagare l'insano gesto provocatorio...
Capitolo pizza. Ebbene sì, non ho avuto il coraggio di provare la pasta (che pure dicono che non sia pessima, con tutti gli italiani che ci sono) ma la pizza sì, perché era invitante e perché nascondo sempre in fondo al cuore l'idea della stesura della Guida Definitiva Nonché Universale della Pizza, divisa per continenti/stati/regioni/province/città/quartieri/strade/sottoscala.
Ebbene, qui lo dico e qui lo nego, ma la pizza argentina non è poi così male. La fanno sia alta tipo focaccia pugliese che più bassa tipo napoletana. Certo poi il condimento può lasciare a desiderare. La prima volta sono andato sul sicuro ma mi chiedevo cosa fosse questa pizza dal nome fantastico, fugazzetta.
Naturalmente non c'era sul vocabolario. Lo scopro a mie spese la seconda volta: un po' di pasta di pizza e una quantità abominevole di cipolla. La fugazzetta è evidentemente quella che sono pronti a fare i tuoi compagni di tavolo...
Dei caffé parlerò a parte perché c'è un discorso lungo da fare. Invece voglio dirvi dei dolci. Io generalmente non li provo, non ne sono un fan (per usare un eufemismo), ma sapevo di dover provare gli alfahores (suggerimento di Roberto L.). E in effetti... grande scoperta! Come definirli? Non lo so, non ci provo neanche, sono i biscotti argentini per eccellenza, hanno diversi tipi ma quello più diffuso ha come ripieno il dulce de leche (altra tradizione culinaria). Strepitosi. Penso a come raccontarveli e vi faccio sapere. Oppure ve ne porto un container direttamente.
Menzione speciale per i gelati. Anche qui, avevo letto che la tradizione italiana del gelato era stata importata con successo, e in effetti non sono niente male.
Comunque il posto più bello dove sono stato è un'antica trattoria, si chiama El Sanjuanino, e ha una sede principale e due filiali. Il posto è divertente, con pochissimi tavoli approssivamente apparecchiati, pur trovandosi, quello storico almeno, nell'esclusivo quartiere di Recoleta (come a dire Parioli a Roma, più o meno), uno dei tre quartieri “bene” della capitale.
L'atmosfera è davvero quella da trattoria, con i camerieri sempre pronti alla battuta, un po' come, per chi lo conosce (e chi non lo conosce?) la trattoria "da Enzo" a Roma. Qua ti fanno anche piatti espressi da portar via, perché c'è il bellissimo parco della Recoleta a due passi. E sono specializzati in empanadas e locro (altro piatto tradizionale che però non ho ancora provato).
Pranzo completo vino incluso sui 35 pesos ( 7 euro, vino e acqua compresa).
Infine (per questa prima panoramica) capitolo vino. Ottimo: ne ho assaggiate 3 o 4 marche diverse e mi è piaciuto moltissimo. Soprattutto sirah e cabernet.
Vi lascio con le frasi scritte sulle tovagliette di carta del Sanjuanino, scritte da altri avventori del passato:
“Si bebes moriras, y si no bebes moriras igual, bebed, bebed!”
“Si los amantes del vino y del amor van al infierno, el paraiso debe estar vacio”
“Empanadas calientes che quedan los dientes”
“Si el mar fuera vino, todo el mundo seria marino”
“Comer es un acto Biològico, comer en El Sanjunino es un acto cultural”
U.T.T.: Uniòn Tomadores de Tinto”

Non è finita. Aggiungo quello che è successo stasera.
Ho perso l'ennesima cena organizzata dal festival (dopo la noche alemana e quella francesa, e l'aperitivo del cinema d'europa) perché mi ero fermato a bere e chiaccherare con i ragazzi dell'ufficio stampa. Esco verso le 23 con l'idea di farmi una passeggiata, e la città invece è invasa dal fumo. Scenari alla blade runner, mi immagino che pechino sia così tutti i giorni. Non si respira bene, bruciano gli occhi e la gola. Mi hanno spiegato poi che sono stati degli incendi di isole sul Rio della Plata, e il vento che ha portato il fumo in città. Faccio quella decina di isolati poi vedo uno dei ristoranti consigliati (non ricordo più da chi) e decido inopinatamente di entrare.
E qui il tono si fa più epico, perché quello che comincia tra me e "Pippo" (sì, il locale si chiama così) non è un semplice incontro, ma è una battaglia.
Tantissimi tavoli, tovaglie di carta, un sacco di gente (è pur sempre l'ora di punta per la cena, dopo le 23...). Mi siedo, leggo il menu con i suoi combo, accarezzo con lo sguardo un altro bife de chorizo e penso ma no, dai, solo un piatto non troppo impegnativo. C'è un tira de asado speciale chiamato Pippo, dico ok, sarà una specialità della casa e prendo quello, senza sapere, senza sospettare.
Mi portano il classico panetto di burro come antipasto (è una usanza assurda che hanno anche in spagna, ma ti pare che uno mangia pane e burro di antipasto?), il vino e l'acqua, e poi aspetto.
Quello che aspetto è un po' di buona carne con il contorno di puré misto che ho chiesto (qua hanno una quantità spropositata di tipi di puré, non solo di patate). Non immagino neanche lontanamente quello che sta per succedere.
Arriva, infine, il mio tira de asado.
Io lo guardo, e capisco: è la fine.
Quello che inizia tra me e l'asado non è un semplice incontro, è un duello epico, all'ultimo sangue (è proprio il caso di dirlo).
Perché la carne che mi hanno portato è quanto di più simile mi sia capitato in vita mia al cinghiale di Obelix: una quantità spropositata, assurda, al di là di ogni umana possibilità di immaginazione.
Praticamente un'animale intero.
Proprio io che per anni non ho mangiato pesce che aveva la forma di pesce (e un po' cosiddetti amici hanno tramandato questa leggenda per generazioni...) perché mi faceva impressione, ora mi trovavo davanti praticamente una vacca intera.
Bene, mi sono detto, siamo io e te, ora. Uno dei due non sopravviverà all'incontro, e spero di non essere io.
Ora, chi mi conosce sa che non mi tiro indietro di fronte a niente, almeno a tavola, e che mi dà talmente fastidio lasciare cose nel piatto che (ovviamente contro la mia volontà) finisco anche i piatti delle persone che mangiano con me.
Ma stavolta la lotta era impari, la sfida impossibile, inumana.
E infatti, e dicendo questo so che molti di voi, irrimediabilmente delusi, cesseranno di leggere questo blog e di sostenere di conoscermi, l'asado mi vinse.
Arrivai agli ultimi bocconi, ma alfine capitolai.
Fu la fine, una lunga carriera di mangiatore senza macchia e senza paura.
Niente, tutto finito.
Sconfitta, tremenda sconfitta.
Me ne andrò vagabondando in esilio per il sudamerica a espiare le mie colpe.
Adiòs.

p.s. (c'è sempre, un p.s.): mentre scrivo le ultime righe sono nel salone dell'ostello davanti a un finto camino – che però fa il rumore di un camino vero! - e un paio di ragazzi stanno guardando la tv. Se non avete mai visto i simpson in spagnolo, non sapete cosa significano le parole assurdo e ridicolo... Doh!

lunedì 14 aprile 2008

Tristezza

Va be' che sono nella città della tristezza e della malinconia per antonomasia, ma oggi è proprio un giorno triste.
Non pensavo a un disastro di queste proporzioni.
Non so se torno, mi sa che mi faccio adottare dagli argentini.
mesti saluti

p.s. mentre vi scrivevo è pure arrivato un testimone di geova argentino che cercava di catechizzarmi. Proprio vero che le brutte nuove non arrivano mai sole...

p.p.s. se volete distrarvi dalle nostre disgrazie, sotto c'è l'ultimo post su Buenos Aires...

Giorno 4: a Palermo con Freud

No, no, sono ancora qui. Non è che mi sia già stufato (vi piacerebbe, eh?) e rifugiato nella terra dei cannoli.
Semplicemente, Palermo è un barrio di Buenos Aires. Uno dei più conosciuti per tanti motivi, e negli ultimi anni diventato forse il quartiere più di moda, quello bohemienne.
Ma perché Palermo, vi chiederete? Si dice che il nome derivi da un siciliano (di Palemmo, of course), tal Giovanni Dominguez, che, arrivato a Buenos Aires, si sposò con una ricca proprietaria terriera locale e quindi ne ereditò le proprietà, comprese delle paludi in questa zona che bonificò e trasformò in frutteti. Il periodo è addirittura quello della seconda fondazione di Buenos Aires, alla fine del '500. Ne parla anche Borges facendo riferimento proprio al “Dominguez di Palermo d'Italia”, riportando la frase di Carriego “En Palermo naciò la Ciudad”.
Io ci sono arrivato a piedi (ovviamente) dal centro, e, per riposarmi, mi sono rilassato un po' al giardino botanico, ai margini di Palermo (che è anche il quartiere dei grandi parchi di Buenos Aires).
Si tratta di un giardino molto grande, con angoli molto curati e altri lasciati un po' più allo stato brado. Niente a che vedere, ad esempio, con il curatissimo giardino botanico di Ginevra, dove ho passato un piacevole pomeriggio neanche un mese fa (con annesso pranzo... e in effetti l'unica cosa che stranamente manca nel giardino botanico bonairense è proprio un posto dove mangiare. Se questo stuzzica la velleità imprenditoriale di qualcuno di voi, si faccia avanti! Io ad esempio, visto che sta a Palermo, ci aprirei una panelleria. O una cannoleria).
Epperò... il giardino botanico di Palermo è pieno di sorprese. Ad esempio, ti può capitare di imbatterti in un bronzo raffigurante la lupa di Roma, con tanto di Romolo e Remo. E non è l'unica che ho incontrato, a Buenos Aires... Oppure si può rimanere stupiti dalla quantità di gatti nel parco. Tantissimi, uno diverso dall'altro, assolutamente padroni della situazione, tanto che non hanno paura di nessuno e anzi si accoccolano vicino a quelli che si stendono a prendere il sole o a riposare. Tipo le rovine di largo Argentina a Roma, ma senza rovine e senza gattare. O magari da qualche parte ci sono le gattare anche qui, altrimenti non si spiega come mangino...
Fuori dal parco c'è anche un cartello che invita a non abbandonare gli animali domestici. Da quello che mi hanno detto, a Buenos Aires hanno una vera e propria passione per gli animali. Più cani che gatti, a dire la verità. Tanto che è piuttosto frequente imbattersi in ragazzi che hanno fatto della necessità di portare il cane a fare la passeggiata in un vero e proprio lavoro: te li trovi sul marciapiede con una specie di imbragatura alla quale sono assicurati una marea di guinzagli. Perché naturalmente non è che ne porti uno solo, a fare la passeggiata: a me è capitato di vederne alcuni con almeno una dozzina di cani di tutte le razze, forme e dimensioni. Come non litighino tra di loro, poi, è un mistero. Ma soprattutto mi domando come faccia il dog-sitter a portare i cani e a non essere invece trascinato lui dalla forza di 12 cani... forse è perché non c'è accordo tra gli animali sulla direzione comune verso la quale tirare.
Una volta ne ho visti due, di dog sitter, fermi ad un incrocio che parlavano (non sentivo la conversazione, ma la immagino: - come va oggi? - mah, giornata fiacca, solo 9 alla volta... - e quell'alano poi l'hai accettato? - fossi matto, per quelli ci vuole un allenamento speciale...). Ma vi dico di più: nei primi parchetti di quartiere in cui sono passato notavo questa specie di recinto rotondo che c'era spesso in mezzo al parco. Poi ho scoperto che era proprio ad uso e consumo dei cani, li potevi liberare lì dentro (è piuttosto grande) e tirare un po' il fiato...
Tornando a noi, al giardino botanico scopro anche il luogo per Roberto (quasi lapalissiano che il luogo adatto per un palermitano sia nel quartiere Palermo...): l'Escuela Municipal de Jardinería, dove un gruppo di ragazzi erano intenti ad apprendere la sudata arte dell'uso della vanga.
Tra l'altro c'è qualcos'altro che ricorda la sicilia, qui in Argentina. E' che praticamente è stato bandito il passato prossimo. Tutto è al passato remoto, come il siciliano, anche quello che hai fatto due ore prima! Sembra di stare in un libro di Camilleri... pure i nomi dei negozi sono simili!
Uscendo dal giardino botanico ci si trova a Plaza Italia, un punto nevralgico del traffico cittadino. Al centro troneggia una enorme statua di Garibaldi (lui sì, l'eroe dei due mondi...), che qui era conosciuto più che altro per le sue avventure sudamericane, era un po' il Che Guevara dell'epoca.
Da un lato della piazza, la struttura della Sociedad Rural Argentina, che fino a neanche 10 anni fa ospitava l'annuale fiera del bestiame. Una cosa enorme, per quei giorni il centro della città si trasformava in un vero e proprio ranch, con gare e giochi equestri. Era il presidente della Repubblica a inaugurare la fiera, giusto per ricordare a tutti quale fosse la fonte della ricchezza del paese, nonché l'importanza della terra per l'identità argentina.
Comunque sia, da Plaza Italia bisogna fare una scelta: a nord c'è la zona “verde” di Palermo, quella dei grandi parchi, a sud invece quella cittadina, la cosiddetta Palermo Vieho (in realtà Palermo ha tante sottozone, Palermo Soho, quella bohemienne, Palermo Hollywood, quella dove ci sono le sedi della società di tv e cinema, Palermo Chico, ecc.).
Essendo già stato più di un'ora al giardino botanico, scelgo di andare a sud.
Anche perché Palermo era il quartiere che più mi attirava prima di partire. Borges ne parla tantissimo, quando torna dall'Europa è il quartiere che per lui rappresenta l'incarnazione della vecchia città. E' proprio qui che la sua famiglia va a vivere, costruendosi quella che lui stesso definirà come una delle rare case a due piani del quartiere (che in effetti ancora oggi ha quasi solo case ad un piano) in una strada che poi è stata giustamente ribattezzata calle Jorge Louis Borges. Non solo Borges parla di Palermo nella sua prima raccolta di poesie, Fervor de Buenos Aires, ma anche nel suo primo libro, Evaristo Carriego (in Italia lo pubblica Einaudi, lo consiglio caldamente), dove narra la biografia di un poeta del quartiere ma in realtà va a cercare l'anima antica, le radici della città.
Visitare il quartiere con in mente le immagini di Borges è tanto affascinante quanto deludente. Affascinante perché qualcosa, cercando per bene, ancora si ritrova, in qualche angolo dimenticato. Deludente perché in realtà le vie principali sono diventate una specie di luna park modaiolo, pieno di negozi trendy e locali dal gusto un po' kitsch che tradiscono ristrutturazioni delle splendide case d'epoca non certo conservative...
Va be' insomma non ve la faccio lunga, ci sono anche dei locali attraenti ma tutto è decisamente troppo à la page, tutto un po' sopra le righe. Ciò non toglie che non si possa passare un piacevole pomeriggio in uno dei caffé di Plaza Serrano, il cuore di Palermo Soho.
Ma piuttosto che raccontarvi dei locali trendy (mi riprometto comunque di tornare a Palermo la sera, per vedere come cambia di notte) voglio dirvi di questa cosa che ho appena letto e che mi sembra troppo assurda per essere vera.
Sempre su Plaza Italia c'è un palazzo che è chiamato Villa Freud. Perché, vi chiederete? Perché era frequentato da psicanalisti di praticamente tutte le scuole esistenti. Perché, e questo proprio mi ha lasciato di stucco, Buenos Aires è la città con più psicanalisti pro capite al mondo, batte persino la New York di Woody Allen. Si calcola che siano circa 15.000 gli psicanalisti in attività, e l'Associatiòn Psicanalìtica Argentina li riunisce dal 1942. Julio Cortàzar (un altro scrittore argentino da consigliare, se vi piace il genere fantastico. Rayuela, ad esempio, che negli anni '60 fu uno dei primi esempi di narrazione non lineare – tipo libro-game, per chi li conosce) una volta si vantò di essere l'unico argentino a non essere stato in analisi. Persino Borges ci va per un breve periodo. Ma ad un certo punto diventa una vera e propria moda, tanto che i termini psicanalitici ormai sono entrati nel linguaggio corrente, nelle conversazioni di tutti i giorni. Anche se oggi non è più imprescindibile come solo vent'anni fa, complice anche la crisi economica, pare che si senta ancora spesso la frase “scusate esco, vado dall'analista” o la domanda "ma il tuo analista di che corrente è?". I portenos ci scherzano spesso, non se ne vergognano per niente perché anzi, devi vergognarti se non ci vai.
Oggi (quattro giorni dopo, visto che sono indietro con il racconto) ho chiesto a Gabriela e lei dice che probabilmente tutto deriva dalle aspettative frustrate, sia degli immigrati arrivati nella terra promessa sia dei locali che, dopo essere stati quasi il centro del mondo, ora si ritrovano con un pugno di mosche.
Comunque, visto che ci sono anche un sacco di psicanalisti stranieri, forse una soluzione per tutti i nostri migliaia di laureati in psicologia disoccupati c'è...

In serata invece sono andato all'Alliance Francaise, una delle sedi del festival, a vedere un film di Rolf de Heer, l'australiano di Bad Boy Bubby. Il film si chiama Dr. Plonk, ho scoperto in sala che è coprodotto dalla Fandango, è girato come un film muto di inizio '900 ed è molto divertente.
Due aggiornamento sul documentario: ecco il nuovo link funzionante e quest'altro di una rivista online argentina che ha voluto dedicarmi la copertina (virtuale) e una delle poche segnalazioni nell'articolo di presentazione del festival.
a domani

p.s.: auguri a Marcella che oggi diventa più vecchia (ma se contiamo solo i compleanni danesi è ancora una bimba!), che però in compenso è ormai quasi pronta per scodellare un nuovo nipotino della numerosa (e ormai multi-nazionale) famiglia D'Ambrosio!

p.p.s.: grazie a luca per il bellissimo header nuovo fiammante del blog!