Ad attendermi, nel terminal di Humahuaca, ci sono due autobus che nella migliore delle ipotesi sono degli anni '60, e una marea di indios che hanno con sé l'impossibile, pacchi enormi, sacchi di plastica giganteschi, sembra un esodo vero e proprio (il perché l'avrei capito solo il giorno dopo).
Facciamo fermate in luoghi dove non c'è nessuna traccia di presenza umana, eppure c'è qualcuno che sale, o che scende. Ogni tanto, in lontananza, una casa di mattoni cotti al sole, che quasi si mimetizza: ma che fa lì, è un posto impossibile, impossibile arrivarci, ma anche se ci arrivi, poi?
Poi, dietro una curva, eccolo: Iruya, il paesino arroccato nella valle, dove questa pseudostrada finisce. Saluto al volo le due ragazze di Buenos Aires che ripartono con il mio stesso autobus e mi dirigo nell'hostal consigliato per mangiare qualcosa (ero come al solito senza colazione, ma vista la strada, meglio così!). La montagna davanti a Iruya è impressionante. Mi riposo un po', poi faccio un giro. Non ci vuole molto, Iruya è davvero piccolissimo. Qui la povertà è palpabile, d'altra parte siamo vicinissime al confine con la Bolivia.
Quando mi alzo, la mattina dopo, dopo un'altra fredda notte (nonostante la stufa accesa), faccio una lauta colazione e chiedo informazioni sul sentiero per San Isidro, che mi hanno consigliato. La tipa non sembra convinta, dice che ci vogliono più di due ore. A me avevano detto 4 tra andata e ritorno, a Salta. Io ho esattamente 4 ore prima della partenza del colectivo. Mi avvio, con l'idea di tornare indietro dopo 2 ore anche se non sono ancora arrivato. Io continuo, “in direzione ostinata e contraria”, come direbbe un certo cantautore italiano. Con me c'è un cane che mi segue da Iruya. E' la seconda volta, dopo San Lorenzo. Forse sanno che se ti accompagnano e ti fanno da guida poi avranno qualcosa in cambio. Intanto lui viene, mi precede, mi aspetta, abbaia agli asini selvatici che qui hanno la fastidiosa abitudine di “caricarti”, come può caricare un asino certo, ma sempre meglio avere qualcuno che ti difende.
Non ho fatto l'ultima salita, gli ultimi 500 metri, perché ormai ero già ampiamente fuori tempo massimo. Ma l'importante era arrivare a vederlo, arrivare fin lì.
E così torno ad Iruya addirittura in anticipo, dopo solo 3 ore e mezza. Ho pure il tempo di vedere un po' il mercato, che è un mercato strano, non per turisti ma ad uso e consumo dei locali (e non ce ne devono essere molte, di occasioni di commercio, e infatti tutti compravendono e scambiano cose). C'è un po' di tutto e tutto mischiato. Quello che mi colpisce è anche perfino qui, sarà la televisione, i ragazzi cercano e si vestono allo stesso modo, un po' rapper americani diciamo.
Alla fine, galvanizzato da questa ennesima camminata sotto il sole (stavolta però un pochino mi sono spellato, in fronte, e nonostante che di acqua per bagnarmi ne avessi a iosa), provo a sfidare Montezuma che finora non mi ha miracolosamente sfiorato, e pranzo (e poi a Humahuaca merendo pure) da uno dei tanti invitanti ambulanti che stanno lì a cuocere carne all'aperto. Forse l'igiene non è la loro preoccupazione principale, ma il panozzo è buonissimo. E poi, sono sopravvissuto ai famigerati “fish kebab” pescati cotti e mangiati sulle inquinatissime acque del Bosforo, quindi...
Insomma, prendo le valigie dalla tipa che non si fidava delle mie forze, e forse ancora tronfio della vittoria appena conseguita (devo ammettere che dopo questa ennesima supercamminata per di più in montagna ho i polpacci del Rumenigge dei tempi d'oro... in effetti sono pronto per il cammino di Santiago) commetto l'errore fatale: sull'autobus che mi deve riportare a Humahuaca, mi siedo esattamente dietro l'autista.
Così, per vedere meglio.
Ma nella vita ci sono cose che è meglio non sapere, e la verità su quello che succede alla guida di questi autobus è una di queste.
Mai, mai, non fatelo mai: meglio sedersi dietro, rimanere nella vostra beata ignoranza, godersi il panorama senza chiedersi come fa l'autobus a rimanere in carreggiata.
Innanzi tutto, dietro l'autista significa a sinistra, e quindi vedevo ogni volta che abbassavo lo sguardo a quanta distanza (meglio, a quanta non-distanza) la ruota passava dal bordo: mezzo metro mediamente, ma spesso pericolosamente meno, e oltre, senza nessun tipo di protezione, uno strapiombo di decine di metri.

Poi, nei tornanti, l'autista allarga talmente tanto che sembra che la parte anteriore sinistra dell'autobus galleggi nel vuoto...
Poi, l'autista: si distrae spesso e volentieri, guarda l'ora sul cellulare, prende continuamente delle caramelle che ha vicino alla portiera, ma naturalmente vuole ogni volta scegliere il colore e quindi il gusto... E poi si gira a guardare il paesaggio, come se non lo conoscesse. A volte il tipo che controlla e fa i biglietti viene avanti e si mettono a parlare animatamente, e io penso “nonlodistrarrenonlodistrarrenonlodistrarretipregotipregotiprego...”
E poi, la cosa peggiore: l'impresa concorrente, la Panamericana, ha un unico autobus che parte 15 minuti dopo il mio. Ma evidentemente l'autobus è più nuovo o più vuoto, perché dopo una mezz'ora di viaggio l'autista si guarda nervosamente indietro, e lo vede, e anche io con lui: l'autobus giallo di Panamericana ci tallona, e guadagna strada. Il mio pazzo autista comincia a prendere i tornanti senza rallentare, certe volte non entra la seconda e lui si incazza, guarda continuamente indietro, ma non c'è niente da fare, il Panamericano si avvicina sempre di più.
C'è solo una cosa a nostro vantaggio, che probabilmente è quella che ci salva la vita: il Panamericano non potrà mai sorpassarci, su questa pseudostrada.
Ma l'autista pazzo non vuole fare il tappo della situazione, si sente come un pilota di formula 1 con una macchina scarsa ma su un circuito dove non c'è possibilità di superare, è lì che fa sbuffare l'autobus oltre le proprie possibilità meccaniche e gravitazionali.
Va, mentre la gente ogni tanto scende in luoghi dove non c'è assolutamente nulla, all'orizzonte, forse devono fare ancora qualche chilometro a piedi, in salita, e dall'altra parte c'è qualcosa che la visuale dei monti impedisce di vedere.
Ma c'è qualcosa che sbaraglia tutti i piani di vittoria dell'autista: oggi è venerdì, e dalle incredibili scuola d'altura di queste parti escono tutti gli alunni per tornare a casa per in fine settimana, dopo aver dormito a scuola dal lunedì. Entrano decine di bambini, e ad una di queste fermate, per fortuna dopo il passo e quindi nella parte meno brutta della strada, il Panamericano ci sorpassa strombazzando per lo scherno.
Evidentemente per loro è un gioco.
Per me non lo è stato, stavo quasi per cercarmi una religione, una qualsiasi, giusto per chiedere una grazia. Fortuna non ho fatto in tempo a sceglierne nessuna... Infatti, sorry, ma niente foto, ero troppo occupato a rimanere vivo.
Insomma, se vi dovesse capitare, restate incoscienti e felici e sedetevi dietro, sul folle autobus tra Iruya e Humahuaca.
E comunque, è incredibile come questo paesino rimanga aggrappato tenacemente al mondo esterno, tramite questa unica strada che quando piove non è percorribile, e sicuramente anche quando d'inverno i fiumi sono in piena, visto che la strada li attraversa più volte.
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